Il compagno immaginario, è il segno di una straordinaria capacità creativa dei bambini e insieme di una grande intelligenza. Uno degli stereotipi più comuni vuole che i bambini che si inventano amici immaginari, lo facciano perché si sentono soli, perché non hanno fratelli o sorelle né amici con cui giocare o magari perché i genitori hanno problemi tra loro. Soli timidi o troppo introversi per fare amicizia con gli altri, si ritrarrebbero in una dimensione immaginaria vivendo una vita parallela e quasi virtuale ma consolatoria e tranquillizzante. «Niente di più superficiale e scorretto. Il compagno immaginario è una manifestazione di creatività, che va guardata con molta attenzione e rispetto. E che tocca, secondo le ultime ricerche, almeno il 70% dei bambini, la metà dei quali racconta di lunghe frequentazioni che durano anche quattro, cinque anni». È il peluche o l’orsacchiotto che si porta a nanna la sera, l’ombra che il bambino vede proiettare dal proprio corpo, che cammina e corre con lui, più spesso un coetaneo, compagno di pomeriggi di giochi, chiacchierate e discussioni. «Si tratta di un Altro da Sé» spiega Tilde Gallino «che il bambino costruisce giorno per giorno, dotandolo continuamente di nuove esperienze e competenze e che fin dall’inizio possiede una propria autonoma personalità. Le indagini confermano che si tratta di bambini spigliati, niente affatto solitari che alla prova dei fatti si riveli no leader nella propria classe, bambini che hanno affinato capacità di relazione e di negoziazione superiori alla media. Anche grazie a quel compagno di fantasia con cui si gioca ma che soprattutto è capace di ascoltare, di agire e ragionare, parlare e discutere di ciò che sta più a cuore. Insomma un’esperienza significativa per la crescita, per lo sviluppo cognitivo e per la capacità di socializzare…Crescere in due in un mondo di adulti è molto positivo. Con l’amico immaginario ci si esercita nella risoluzione dei problemi, ci si allena a trattare, a confrontarsi e a discutere con gli altri. Ma c’è di più. L’amico immaginario possiede più di ogni altro una dote speciale: non tradisce mai. Gli si può raccontare tutto: non farà la spia, non spiffererà in giro le cose importanti e segrete come fanno di solito i fratelli. Non diventerà amico di altri. Perciò di lui i bambini sono parecchio gelosi, lo vivono come un segreto, pochi lo raccontano, i più lo tengono nascosto, non rivelandone l’identità a nessuno».
L’interesse destato dal tema della personalità e della capacità cognitiva del bambino che si crea un Compagno immaginario ha fatto sì che già alla fine dell’800 e l’inizio del secolo scorso, la letteratura anglosassone, la psicologia e la psicanalisi, riservassero un certo spazio allo studio di questi fenomeni. Le istanze, a proposito del rapporto bambino-amico immaginario, che con maggior insistenza si sono posti i ricercatori, riguardavano anzitutto i processi cognitivi e le dinamiche socioemotive che spingevano certi bambini, e non altri a crearsi un compagno immaginario e a giocare e dialogare con lui. A tal proposito emergevano due linee di pensiero: secondo alcuni i bambini che si costruivano un Compagno immaginario risultavano generalmente molto spigliati, più intelligenti e creativi, perfettamente in grado di relazionarsi con gli altri e, proprio grazie alla presenza del compagno invisibile, con un’ottima capacità di ascolto, azione e di ragionamento.
Secondo altri, erano carenti di fantasia, e anche di logica, che spinti da un gran senso di solitudine, per la mancanza di fratelli, amici, e per le poche cure da parte della famiglia, cercavano di rifugiarsi nell’immaginazione creandosi un amico immaginario. Ma in alcuni casi la variabile famiglia sembrava non incidere affatto.
Secondo Vostrovsky (1894), sia le capacità immaginative che le differenze di temperamento, incidono sulla creazione di un personaggio inventato; più tardi, è interessante come Swett (1910) e successivamente Piaget (1945), evidenzino gli aspetti morali del Compagno Immaginario, che può ammonire il suo ideatore. Sul fattore immaginativo hanno posto un discreto rilievo autori come Martini (1915), Norsworthy e Whitley (1918) e Green (1922).
Ricerche in questo ambito, inizialmente hanno preso in considerazione un numero limitato di bambini, che pur se conosciuti e seguiti direttamente per anni dai ricercatori, dato il ristretto numero del campione, quest’ultimo non poteva essere rappresentativo della popolazione infantile. Fra queste, è doveroso citare quella compiuta nel 1932, da Hurlock e Burnstein, su un campione di ben 107 soggetti di età compresa tra i 15 e i 40 anni. La ricerca ha dimostrato che non erano state riscontrate alcune rilevanti differenze nell’ambiente socioculturale e nelle caratteristiche di comportamento fra chi aveva avuto, e chi non aveva avuto un Compagno immaginario. L’unico inconveniente era che lo studio aveva preso in esame le reminiscenze di adulti che, a quarant’anni raccontavano l’esperienza vissuta a quattro o cinque anni, con i relativi svantaggi che a livello conscio e inconscio ne conseguono.
Ames e Learner ritengono che nei bambini con un intelligenza brillante è più rintracciabile la presenza di un Compagno Immaginario, e al tempo stesso i soggetti che invece non hanno un amico immaginario, fin dalla prima infanzia non mostrano alcun segno d’immaginazione. Mentre, secondo Nagera (1969), la funzione del Compagno Immaginario corrisponderebbe a quella dei sogni ad occhi aperti individuata da Freud (1908).
Jean Piaget (1945), attribuisce al Compagno Immaginario, un ruolo di notevole importanza nel periodo dell’evoluzione sociocognitiva, attribuendogli una serie di funzioni: consolatoria, compensoria, moralizzatrice genitoriale, di stimolo e rassicurazione.
La funzione consolatoria, si realizza nel momento in cui il bambino confida i propri interessi al Compagno Immaginario, e questo svolge un ruolo di ascoltatore-consolatore. Riguardo la funzione compensoria, in questo caso si tratta della possibilità che i bambini hanno di vivere con il proprio Compagno Immaginario momenti magici. La funzione moralizzatrice, riguarda l’autorità morale che sta a rappresentare il Compagno Immaginario, infatti questo oltre ad essere disponibile nei confronti del bambino, però al tempo stesso è critico verso le sue azioni, spronandolo a migliorarsi.
Infine la funzione di stimolo e rassicurante, si rifà agli aspetti positivi che determina la presenza del Compagno Immaginario, in termini di sviluppo delle capacità di socializzazione nel bambino.
Da uno studio realizzato nel 2001 da ricercatori americani delle Università di Washington e dell’Oregon e pubblicato sulla rivista “Developmental Psychology”, emerge come all’età di sette anni, quasi 2 bambini su 3, maschi e femmine in egual misura, condividono tempo e giochi con uno o più amici immaginari. In più, la fervida immaginazione dei bimbi in età prescolare e delle elementari non si esaurisce riempiendo la stanza di amichetti immaginari, ma fa sì che quasi tutti i bimbi si cimentino nel gioco di impersonare, ovvero fingere di essere un personaggio immaginario, in genere un animale o un’altra persona. Poiché i bimbi di 7 anni non inventano “presenze” meno spesso di quanto non facciano quelli in età prescolare, i risultati di questo studio si discostano in parte dalle teorie di Freud, secondo cui queste "amicizie” infantili sarebbero appannaggio esclusivo dei più piccini, ovvero della fascia d’età dei 3-4 anni.
Nonostante che il fenomeno sia comune e molto diffuso tra i bambini però, "negli ultimi anni gli amici immaginari sembrano in calo", afferma Tilde Giani Gallino, "colpa della televisione, che fornisce storie belle e pronte, rendendo più difficile esercitare la fantasia".
E’ interessante scoprire come la creazione del Compagno Immaginario, pur essendo un fenomeno molto diffuso durante l’infanzia, non è una prerogativa assoluta per ogni bambino, infatti non avendo la stessa capacità immaginativa, non tutti necessariamente hanno si creano un Compagno Immaginario. Ciò non toglie però che chi non l’ha mai avuto, abbia minor capacità di apprendimento o particolari problemi nel rapporto con gli altri.
Un folletto, uno gnomo, a volte peluches, qualunque forma assuma, il Compagno Immaginario è un fenomeno complesso e sfaccettato, spesso soggetto a pregiudizio e fonte di preoccupazione per i genitori, che guardano con timore questo personaggio fantastico frutto della fantasia del bambino. In realtà è un’invenzione del tutto normale, nata dalla scoperta della propria ombra o dal rapporto instaurato con il peluche preferito, in oltre è anche con l’aiuto di questi personaggi inventati, che i bambini cercano di adattarsi all’ambiente complesso ed incomprensibile degli adulti. Insomma, un consigliere segreto, ed insieme uno strumento per indagare e scoprire se stesso, imparare a relazionarsi con l’esterno, durate il suo percorso di crescita e maturazione.
Fonte: "Il bambino e l’Altro: la creazione del compagno immaginario" – Dott.ssa Pomponi V.
No comments