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Il 26 marzo non esiste

“Il 26 marzo non esiste…

Vi capita di cancellare alcuni giorni dal calendario?

E di aggiungerli?

A me si!

In fondo è sempre una questione di numeri e, si sa, io con i numeri non ho mai avuto un grande feeling!

E così, ogni tanto apro gli album delle foto di famiglia…Amo le foto… le ho sempre amate. Torno ad un’immagine che mi ritrae da bambina dove sono in piazza del Campo a Siena una salopette, un cappellino di paglia, gli occhi grandi e pieni di futuro. Sono sempre stata molto legata a quella fotografia scattata da mio padre in una giornata di sole in cui alcuni turisti giapponesi avevano chiesto ai miei genitori, l’autorizzazione a scattare una foto a quella bimba in mezzo a tutti quei piccioni a cui dava da mangiare ….Onestamente non ricordo quel momento ma mi è sempre piaciuto quello che raccontavano i miei genitori, mio padre nello specifico, su quella giornata…..La verità e la purezza di quell’immagine mi fa bene.

Ancora oggi, quando mi ricapita tra le mani, la uso per guardarmi allo specchio in uno strano viaggio nel tempo. Mi chiedo se sono cambiati quegli occhi se sono felici come quelli di allora, se sono soddisfatti della strada percorsa…..E se chiedessi a quella bimba come mi vede?

Quella fotografia parla di me, ha fermato l’istante in cui le mie radici in modo più o meno consapevolmente stavano contribuendo a rendere la mia vita una magia.

Oggi, quando scorro le dita sul mio viso, sento la pelle che non è più liscia….Piccoli e profondi solchi intorno agli occhi, alla bocca, sulla fronte…Parlano di me e di tutti i giorni trascorsi.

Parlano di gioia e di dolore verso le persone che ho amato, di quelle che ho accanto e di quelle che mi hanno lasciato ….La mia pelle è custode della mia storia, delle mie emozioni e dei miei segreti. Ogni piega della pelle è un battito del mio cuore, uno scatto fotografico dei ricordi più intimi.

Ed ecco…..Sono qui sulla spiaggia del mio mare a raccogliere i tuoi passi.

Seguo le impronte percorse nei luoghi che amavi e porto i miei occhi alle persone a cui portavi il tuo sorriso.

La morte non è morte, è la paura che abbiamo della perdita, del cambiamento. E’ la paura di non poter più ricordare la tua voce, sapere che ci sei per me. Sempre.Sto pensando che mi piacerebbe che il nostro mare fosse una meta e un modo per trovare un significato all’esistenza di ciascuno.Il mare è uno spazio infinito, il tempo è scandito solo dalle albe e dai tramonti, dalle mareggiate e dalla diversa direzione del vento. Stare a guardare il suo movimento tanto quanto immergersi nella profondità del suo abbraccio fino a quando il buio non ti permette di ascoltare solo il rumore delle bolle e del battito del tuo cuore….Ecco, li….ti lasci andare e li ti puoi permettere di abbandonare tante cose superflue, compreso il peso che senti sul cuore e sulle spalle….Si può imparare dal mare.

Si può imparare dalle tue orme. L’umiltà, la tenacia, la pazienza, la perseveranza, l’unione, tra le altre. Ma soprattutto la libertà. Più liberi di vagare, davanti a quell’orizzonte ininterrotto, tutte le vite possibili ed impossibili, più liberi perfino di sognare che la vita a terra, per sé stessi e per tutti gli altri, possa essere appagante quanto a bordo di una barca ben equipaggiata, senza una destinazione precisa, con tutto il tempo che si vuole davanti a se’. Forse c’è una segreta armonia tra il moto dell’acqua e le più profonde aspirazioni umane: il bisogno di libertà dal superfluo e dalle convenzioni, il tornare vagabondi ritrovando nella lentezza del mare la calma del camminare, la felicità di superare i propri limiti senza altri testimoni che gli elementi.

Ascoltare la voce del mare, il suo invito a salpare, a seguire il sogno con umile realismo, accettando l’incertezza, lasciando che l’inspiegabile resti inspiegato, capendo che il compromesso non è un ripiego, ma l’unica risposta onesta alla complessità dei nostri pensieri…..

Il 26 marzo non esiste….

L’ombra della Paura del Covid

….sono 13 mesi che viviamo di limitazione delle libertà, ci siamo trovati costretti a stravolgere il nostro stile di vita….Tutti….In questi mesi abbiamo lavorato per rielaborare il concetto di tempo e di spazio intorno ai quali si edifica la nostra identità e, con essa, le esperienza stessa di appagamento personale,di vitalità e nutrimento. Ecco, allora, l’invito a riscoprire il piacere derivante dalle piccole azioni quotidiane, dalla lettura di un libro o visione di un film, da una tazza di tè sul divano, ad un gioco da tavola, dal rinvasare le piante a riordinare cantine, armadi e…..pensieri…Ecco, ancora, l’invito a riscoprire il valore della lentezza, l’importanza di fermare la frenesia, di arrestare la ricerca di stimoli nevrotici, anche lavorativi, senza i quali, pare per molti, non si riesce a dare un senso alla propria esistenza….Sarà che tutto questo me lo avete spesso sentito suggerire, così come ho sempre cercato di farlo, valorizzando il momento di sano ozio, coltivando la lentezza e tentando di conservare il mio senso, senza perdermi, o almeno provando a non perdermi.Quello che mi sta mancando (davvero mi sta mancando), da persona che opera nell’ambito delle professioni sanitarie di aiuto, è invece il contatto…..Ciò che io intendo per Contatto. Connessione.Mi manca la forte stretta di mano al paziente che arriva in studio, quella stretta con cui cerco di trasmettere accoglienza e incoraggiamento, con la quale colgo l’umore del momento.Mi manca la spensieratezza di una carezza, adesso attenta, controllata, quasi timorosa, con cui infondere rassicurazione al paziente affaticato.Mi manca il non poter offrire il contatto con il mio volto, ora schermato da una mascherina grigia dove sembrano rimanere intrappolati i profondi significati di un sorriso o di una smorfia.Allora cerco di esaltare i gesti, modulo al meglio la voce, accendo gli occhi cercando di potenziare il significato di quello che dico, di chi semplicemente sono. Mi manca. E nel momento in cui mi rendo conto che giornali fanno più confusione che informazione, arrivo a comprendere che i vaccini fanno più paura del virus stesso.Tutti parlano solo di complotti, fregature, inganni, economia, soldi, bilanci..Ma di paura no…. non se ne parla.Di paura non possiamo parlarne.Paura del covid, dei vaccini, dell’isolamento.Paura di indurirsi, arrabbiarsi, intristirsi.Ma questo non sembra dicibile.Non possiamo dichiarare che tante sono le persone si sentono in un limbo senza fine.Che molti fanno fatica a dormire, tanti non riescono a disconnettersi dal lavoro, molti stentano a uscire di casa.Non possiamo ammettere che c’è chi ha sviluppato delle vere e proprie fobie, chi non vuole tornare al lavoro, coppie che sono entrate in crisi, chi riporta una stanchezza diffusa che rallenta qualsiasi attività, chi fa fatica a concentrasi, chi ha delle crisi di rabbia. Non possiamo riconoscere che in tutto questo ci sono i sintomi più gravi: la depressione, l’ansia o la dipendenza da alcol e altre sostanze. E per quelli che hanno vissuto in prima persona la perdita di una persona cara o che sono sopravvissuti al covid, i sintomi sono ancora più profondie marcati.A volte si pensa che negare e opporsi sia la cosa migliore, ma in realtà le emozioni anche negative non s’interrompono, anzi, si rafforzano.Scappare dalle emozioni è del tutto umano, soprattutto se sono dolorose. Non appena il sé percepisce che il dolore sta emergendo, incontra una crepa e si nasconde.Non esistono cattive emozioni, esistono solo cattive abitudini di pensiero. Le emozioni che risalgono sono un dono di chiarezza, non un ostacolo. A volte si ha paura, ma in realtà è proprio in quel momento che impariamo a riprendere la strada, che parte dall’accettazione di avere bisogno di aiuto.Malati d’isolamento…terrorizzati d paure. non solo di covid….Una barriera. Prima era di un metro….poi di due….Poi le barriere si tingono di colori…..Prima gialli, poi arancioni. Rossi….E infine, quelle stesse barriere diventano Barricate. E dinanzi a questo confine sento di rievocare quel concetto del “restiamo umani”….Anche se in certe situazioni prevarrà la fretta e la giusta emergenza, non permettiamo a queste maschere colorate di trasformarci in uomini senza volto, senza umanità, senza anima.

❤

Non molliamo!

EMDR, desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari

Studi e ricerche scientifiche sull’EMDR (eye movement desensitization and reprocessing – desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) lo eleggono come metodo efficace e specifico per il trattamento del trauma e dei ricordi traumatici.

Il metodo terapeutico Emdr apre così una nuova dimensione nella psicoterapia

L’efficacia dell‘EMDR è stata dimostrata in tutti i tipi di trauma, sia per il Disturbo Post Traumatico da Stress che per i traumi di minore entità. Nel 1995 il Dipartimento di Psicologia Clinica dell’American Psychological Association ha condotto una ricerca per definire il grado di efficacia di questo metodo terapeutico e le conclusioni sono state che l’EMDR è non solo efficace nel trattamento del Disturbo da Stress Post Traumatico ma che ha addirittura l’indice di efficacia più alto per questa categoria diagnostica.

L’EMDR è un approccio complesso ed altrettanto strutturato che può essere integrato nei programmi terapeutici aumentandone l’efficacia. Considera tutti gli aspetti di una esperienza stressante o traumatica, sia quelli cognitivi ed emotivi che quelli comportamentali e neurofisiologici.

L’EMDR usa i movimenti oculari o altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra, per ristabilire l’equilibrio eccitatorio/inibitorio, provocando così una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali. Si basa su un processo neurofisiologico naturale, legato all’elaborazione accelerata dell’informazione.

L’EMDR vede l’evento traumatico, con le componenti emotive, come informazione immagazzinata in modo non funzionale e si basa sull’ipotesi che c’è una componente fisiologica in ogni disturbo o disagio psicologico. Quando avviene un evento “traumatico” viene disturbato l’equilibrio eccitatorio/inibitorio necessario per l’elaborazione dell’informazione. Si può affermare che questo provochi il “congelamento” dell’informazione nella sua forma ansiogena originale, nello stesso modo in cui è stato vissuto. Questa informazione “bloccata” e racchiusa nelle reti neurali non può essere elaborata e quindi continua a provocare patologie come il disturbo da stress post traumatico (PTSD) e altri disturbi psicologici.

I movimenti oculari saccadici e ritmici usati con l’immagine traumatica, con le convinzioni negative ad essa legate e con il disagio emotivo facilitano la rielaborazione dell’informazione fino alla risoluzione dei condizionamenti emotivi. Nella risoluzione adattiva l’esperienza è usata in modo costruttivo dalla persona ed è integrata in uno schema cognitivo ed emotivo positivo.

Le ricerche condotte su vittime di violenze sessuali, di incidenti, di catastrofi naturali, ecc. indicano che il metodo permette una desensibilizzazione rapida nei confronti dei ricordi traumatici e una ristrutturazione cognitiva che porta a una riduzione significativa dei sintomi del paziente (stress emotivo, pensieri invadenti, ansia, flashbacks, incubi).

Infatti, questa nuova forma di psicoterapia è stata rivolta inizialmente al trattamento del Disturbo Post Traumatico da Stress, ma attualmente è un metodo ampiamente utilizzato per il trattamento di varie patologie e disturbi psicologici.

L’EMDR è usato fondamentalmente per accedere, neutralizzare e portare a una risoluzione adattiva i ricordi di esperienze traumatiche che stanno alla base di disturbi psicologici attuali del paziente.

Queste esperienze traumatiche possono consistere in:
• Piccoli/grandi traumi subiti
• Eventi stressanti nell’ambito delle esperienze comuni (lutto, malattia cronica, perdite finanziarie, conflitti coniugali, cambiamenti)
• Eventi stressanti al di fuori dell’esperienza umana consueta quali disastri naturali (terremoti, inondazioni) o disastri provocati dall’uomo (incidenti gravi, torture, violenze).

Contatta la Dott.ssa Lavinia La Torre Psicoterapeuta EMDR Bologna

19 marzo Festa del papà

 

19 marzo ❤Festa del papa’

… Alcuni ci insegnano a seguire il cuore, ad assecondare le nostre inclinazioni, a vivere nel modo più consono al nostro sentire….

Altri ci insegnano a cambiare la gomma della macchina, attaccare un lampadario partendo dal trapano finendo con i mammut (quanto mi piaceva questo nome!)

Altri ci ripetono mille volte i loro consigli e ci ubriacano con le loro piccole manie.

Alcuni ci comprano i nostri biscotti preferiti, le vaschette di gelato al caffè, altri ci fanno guidare la loro macchina fino all’ultimo giorno… “Guida tu” e tu pensi….”wow quanta fiducia”!

Insegnare ad abbracciarsi e a dirsi “Ti voglio bene”.

Imparare il nostro lessico familiare.

Suonare insieme le corde emotive con chiacchiere infinite. Tante parole, tanti silenzi, discorsi, ragionamenti e telefonate…

La certezza di esserci.

La differenza nell’esserci sempre.

Nella stessa stanza, sotto lo stesso cielo, sulla stessa spiaggia …

Ovunque. Insieme. Alleati. Combattenti. Uniti in quelle mani strette.

Correre, rincorrere, fermarsi.

Perdersi. Cercarsi. Trovarsi.

La solidità dei miei occhi neri passa attraverso i tuoi con un tuffo in quel grigio-verde cristallo, strutturandosi nella flessibilità di un legame unico.

“Ciascuno ha quello che si merita”…. prendimi in giro…..

Io sono stata e sono una figlia fortunata.

Ogni giorno me lo riconosco…

Ogni giorno mi sento orgogliosa delle mie radici che mi nutrono attraverso l’acqua salata del mare e delle lacrime che scendono danzando tra i ricordi.

Un’assenza che è presenza, un vuoto che è uno spazio.

Oggi la tua presenza sono io.

Sei i miei gesti, i miei gusti, i miei pensieri.

I miei progetti, le mie ambizioni.

La fragilità e la forza.

La generosità.

La determinazione, la paura.

Testardi. Ironici. Curiosi.

Fuori luogo e senza filtri. Diretti. Spesso troppo scomodi.

Gemelli.

Lo zucchero, la cioccolata, i dolci.

Porto le meringhe, tu preparami il caffè.

❤Auguri a tutti i papà!❤

Perdita significa dolore

La mia mattina è iniziata con una banale riflessione…..
….nulla nasce senza che ci sia una perdita.
Niente.
Perdita significa dolore, a volte.
Perdita significa liberazione.
Ogni ferita ha il suo senso.
Immagino le ferite, le cicatrici dell’anima come un “ponte” verso qualcosa che, dopo, ci offre il senso di tutta quella sofferenza che ci ha spaccato in mille pezzi.
Ciascuno di noi colloca le proprie ferite in un punto preciso, e loro se ne stanno lì creando la loro dimora tra pensieri, ricordi, immagini e sensazioni.
Non sono statiche. Hanno un loro movimento, che ci consente di aprire ai passaggi di senso.
Non serve combattere contro le ferite.
Serve accoglierle. Farle proprie. Amarle e dove possibile, lasciarle andare…
Sono tracce del nostro essere preziosi…..♥️

crepe

…quante piccole crepe?

Avete mai notato quante piccole crepe?
Sulle pareti di casa, sulle tele dipinte, sulla tazza preferita del mio profumato caffelatte che sa di zucchero e caffè…
Piccole crepe.
In ciascuno di noi ne esistono alcune…. Profonde o superficiali.
Spazi sottili e impercettibili.
Solchi profondi e letali.
Mi chiedo quanto sarebbe bello se ci accorgessimo di esse l’un l’altro…. Se riuscissimo a sentirle nello sguardo di chi ci sfiora il cammino.
Ci vuole attenzione per cogliere quello spazio impercettibile che si forma nelle crepe; bisogna saperlo percepire….c’è dolore là dentro. C’è solitudine. C’è freddo….
Spesso, magari per proteggerci, proiettiamo tanto di noi in quello spazio.
Ogni cosa, può succedere che diventi proiezione. Ogni cosa, può capitare essere identificazione.
Il modo in cui guardiamo quelle crepe, ne parliamo, le definiamo, le interpretiamo può essere determinato dalla nostra proiezione, dalla nostra identificazione …. Che a loro volta vengono da lontano. Da ciò che ci ha preceduto, ciò che sta “dietro” di noi. Dalla nostra storia. Dal nostro inconscio. Dal nostro linguaggio.
Identificazione e proiezione. Due processi intimi che possiamo controllare, gestire, riconoscere, ma soprattutto, non evitare, in quanto siamo noi a creare il mondo intorno a noi.
Proiezioni, percezioni, passando dalle dissociazioni e dalle dispercezioni.
Il nostro universo è interessante, a volte magico e misterioso a volte spaventosamente paralizzante.
Spesso è possibile dissociarsi come compensazione vitale a determinate emozioni che si ritengono insopportabili in un preciso momento.
Non è sempre patologica la dissociazione, anzi, il più delle volte è un meccanismo vitale della nostra incredibile mente. Quando giochiamo ci dissociamo, quando leggiamo ed ascoltiamo musica, pure quando guidiamo o sogniamo ad occhi aperti. Lì il nostro inconscio viene fuori, si manifesta in pieno.
Dissociazione non è necessariamente delirio, che parte da una costruzione più cognitiva e finzionale.
Dissociazione è una modalità della mente di costruirsi uno “spazio altro”.
Il mondo che conosciamo ha estrema paura di questo.
Io lo rispetto, ma so anche che in
ognuno di noi esiste una parte dissociata che non è altro che una compensazione vitale che a volte ci fa rifugiare in quelle intime crepe custodi del profumo di caffè latte….

ristabilire priorità psicologia

Ristabilire priorità

“Non sopporto le liste.
Mi danno la misura di qualcosa che non riesco a ricordare. Vado di pancia di solito….
Eppure sono strumenti utili, indispensabili per fare ordine, e ad aiutare a riorientarci nel caos.
E di confusione, di grovigli, di capi intrecciati difficili da separare e riconoscere, in questo periodo, ce ne sono davvero tanti.
E così sono qui a scrivere, davanti ad un pasticciotto leccese pieno di crema, sentendo l’esigenza di mettere nero su bianco la mia di lista.
Succede un po’ come quando, all’improvviso, sorge un bisogno inaspettato e non preventivato, e l’unica cosa che puoi fare e che vuoi fare, è trovare un modo per appagarlo e soddisfarlo, per sentirti appagata, soddisfatta e piena, di ritorno, di riflesso.
Pensavo a ciascuno di noi….di voi… che sicuramente ad un certo punto della propria vita si è trovato a dover affrontare “un invisibile” , qualcosa che ha portato via, inevitabilmente, pezzi di sicurezza, pezzi di certezza, pezzi di me, di te di qualsiasi di noi insomma…
Ecco la fatica, trascorsa e del tutt’ora, a districarsi dalle emozioni confuse, dal senso di nausea misto alla voglia di ricominciare….
Mi reputo tenacemente testarda, a credere a resistere, ad adattarmi, a ricrearmi un piccolo mondo nel quale continuare ad essere fedele a me stessa…
Con la mia identità, il mio ruolo, i miei mille motivi, le mie relazioni, che a volte hanno scricchiolato, altre volte hanno mostrato la forza di un leone.
Ebbene, oggi ho voluto ricordarmi di tutto quello che, a passi incerti ma incessanti, ho percorso, ricostruendolo dall’inizio.
Perché anche i terapeuti hanno i brividi di fronte alle paure, di fronte all’abisso e di fronte all’impotenza.
Anche da terapeuta rimango ferita… mortalmente….
Tradita laddove ero certa non sarebbe mai potuto accadere.
Il mio rimedio, allora, è quello di capire quali lezioni poter trarre da tutto quello che mi è capitato nella vita fino ad oggi, certa che ogni disavventura porti con sé una possibilità trasformativa ed evolutiva.
Che in fondo, possiamo imparare a rifiorire anche dalle macerie, anche dai frammenti, anche dalla cenere.
Ciò che conta, ciò che resta, ciò che lasciamo andare….
Cosa sto imparando da tutto questo?
A ristabilire priorità.
A riqualificare il tempo.
A dire più spesso Ti voglio bene…. poveri voi…..
Le persone hanno bisogno di sapere che le amiamo, che le stimiamo, che ci mancano, che siamo innamorati di loro, perché non si sa mai.
A fare pace prima che arrivi l’alba del giorno dopo.
A valorizzare attimi.
A rincorrere pensieri.
A catturare sogni.
Ad amare ogni ‘essere con’.
A staccare la spina, quando è il momento di farlo.
A stare nelle pause, e trovare la quiete, ritrovare il respiro, ritrovarmi.
A lasciare andare….
C’è una lezione per tutto.
Cerchiamola e custodiamola gelosamente.
Perché sarà la nostra compagna di viaggio per tanto, tanto tempo.
E a chi resta indietro, indietro nel nostro percorso del cuore, che possiamo dire se non…. buona fortuna?”

Profondità e silenzio

L’essenziale è invisibile agli occhi”, ripeteva il piccolo principe, per ricordarselo, e queste parole di Antoine de Saint-Exupéry, tratte da “Il piccolo principe”, ci hanno sempre accompagnato, trasformandosi in alcuni momenti, in slogan capaci di fargli perdere il loro misterioso significato. Stampe su magliette borse e pareti di casa, ma forse non tutti si sono davvero mai fermati a collocare in sé stessi il vero significato…

Si. L’essenziale. 

Per ciascuno assume una forma diversa…

Spesso, quando osserviamo la realtà o ci confrontiamo con essa, ci troviamo in una posizione ego-centrata, ci identifichiamo, cioè, con quel complesso di esperienze, relazioni, idee, percezioni e immagini, che chiamiamo “Io”, ma che in realtà “Io” non è.

Forse potremmo dire che tutte le teorie che usiamo per comprendere la realtà (che in realtà non sono altro che un “contributo”) sono dei tentativi più o meno grossolani di afferrare ciò che per sua natura risulta essere inafferrabile dalla mente egoica. 

Ed ecco l’essenziale, quel qualcosa che intercorre fra noi e l’oggetto che osserviamo.

Per qualcuno essenziale è qualcosa di materiale, per altri qualcosa di spirituale, per altri qualcosa di superficiale, per altri di estremo profondo e intimo.

E così ci troviamo a riflettere su cosa sia essenziale, soprattutto in questo periodo di pandemia.

E ci scopriamo a riconoscerci concordi sul fatto che l’essenziale sta proprio nello scoprirci padroni delle nostre più profonde emozioni.  Alcune non si possono descrivere, non con le parole almeno.

Sono dentro di noi. E basta.

In un abisso fatto di battiti che albergano nelle profondità del nostro cuore dove risiede la bellezza del vissuto, l’incanto della consapevolezza di sentirsi di “essere”, il dolore di ciò che abbiamo affrontato, le persone che abbiamo perso, insomma la bellezza racchiusa in noi è massima espressione di ciò che qualcuno ci ha donato, la vita…

Ecco che lì, nascosta in quell’oceano pulsante, in una mente infinita come il mio mare, perché per concepire l’infinito bisogna essere infiniti dentro, in un corpo così forte, fragile, capace di amare, odiare, piangere e gioire, sappiamo che in fondo è proprio vero… tutto è immobile fermo ad osservarci, guardarci, accoglierci, abbracciarci in una stretta vitale fatta di mille petali di cristallo che riflettono emozioni.

Un’alchimia, una magia, un qualcosa di inspiegabile come quando dal nulla versiamo lacrime, lacrime che non capiamo se siano di felicità o di tristezza, quando dal nulla, così in un attimo capiamo di essere vivi.

Scorriamo nel mondo…. 

Attraversiamo le stagioni, il tempo, le notti, tutto ci sembra rimanere immutato. Eppure tutto si trasforma…. cambia… si modifica… 

Cadere e rialzarsi. Nascere e morire. 

È tutto qui, in quella capacità dell’indescrivibilità di un momento. 

Un sussurro che fa volare, un no che uccide, un forse che blocca e lascia sospesi nell’incantesimo del momento. Ci siamo e non ci siamo. E quando ci siamo, rieccoci. Cadiamo, inciampiamo nei sentimenti, nella poesia, nella pioggia di emozioni che qualsiasi cuore che si sente libero di nutrire, di provare, di sentire, vive…

Scivoliamo sull’odio, ci culliamo nell’amore, ci coccoliamo nei sospiri, sprofondiamo in quello che è un abbraccio di tenerezza che ci fa addormentare felici… possiamo essere capaci di provare tantissime emozioni, altrettante sensazioni.

E proviamo “il tutto”. E proviamo “tutto”.

Ma nella vita è difficile descrivere tutto ciò a parole. E allora si lascia spazio al silenzio, con quella paura di rimanere da soli in quel silenzio, a pensare, a pronunciare parole che non a tutti risultano avere un senso vero e profondo come si vorrebbe…. 

“Dopo avere camminato a lungo per le vie, in mezzo alla gente, alle cose e ai segnali, ho voglia di isolarmi dal rumore; cerco un luogo tranquillo per riposare, rilassarmi, pensare; per non pensare a niente, svuotarmi i sensi e la testa; per concentrarmi, smettere di sentire, cominciare ad ascoltare. Su una panchina, in un giorno d’agosto, in un paese che non è il mio, accanto al ponte vecchio di una bella cittadina rinnovata, davanti, sul fiume, c’è uno scorrimento silenzioso, solo ogni tanto una lunga chiatta scivola… Questa condizione di silenzio e di solitudine mi permette di ritrovare una percezione di me e del mondo che mi sta attorno, precisamente un ascolto. Il silenzio che mi sono procurato, isolandomi dai rumori normali, mi permette di ascoltare. Ma è piuttosto un pensare, un ascolto pensante. Come se prima fosse stato l’esterno a riempire la mia esperienza, e invece adesso esterno e interno agissero in me corrispondendosi. E forse è proprio questo gioco, grazie al quale esterno e interno passano l’uno nell’altro senza appiattirsi o riassorbirsi l’uno nell’altro, che mi fa sentire e pensare assieme. Mi accorgo che in questo rilassarmi ho lasciato essere una dimensione di apertura della mia esperienza che di solito è messa a tacere” (Pier Aldo Rovatti, L’esercizio del silenzio).

Cerchiamo il silenzio, grembo dell’intimità.

Lo cerchiamo, lo desideriamo il silenzio, eppure, quando lo troviamo fatichiamo ad accettarlo. Ci spaventa. Ci angoscia. Tentiamo di sfuggirlo, di respingerlo. Le certezze che generalmente crediamo di avere, diventano all’improvviso fragili, fluide e precarie …. eppure sentiamo di averne bisogno, necessitiamo di precipitare nel vuoto in esso racchiuso…

Se ci fidiamo di noi riusciremo a fare silenzio dentro noi stessi e così arriveremo a far tacere tutte le voci e i rumori che non ci consentono di avere un atteggiamento d’accoglienza. Ascoltare il bisogno di silenzio da cui, solo, può sgorgare una parola di verità. 

Simone Weil ci ricorda che dobbiamo arrivare a far tacere le voci che, dentro di noi, giudicano, sono stereotipate, non vanno oltre le apparenze, si legano a superficiali spiegazioni e che trovano facili soluzioni. 

Eccolo così in modo autentico, lo possiamo sentire il silenzio puro.

Il silenzio non si traduce in assenza di suoni, il silenzio ci aiuta a sentire i suoni del mondo e non i rumori frastornanti del caos del mondo.

Un eccesso di “incontro con gli altri” rischia di essere un modo per tenerci a distanza da noi stessi. Ed è proprio nel silenzio, invece, che possiamo sentire qualcosa di diverso rispetto a quando siamo immersi nella quotidianità della vita.

Creare silenzio attorno e dentro di noi, spegnendo i rumori che ci circondano e avvolgono, disturbando il nostro essere e costringendoci ad un adattamento continuo, che però può diventare perdita di sé.

Dobbiamo farci da parte andando oltre le connessioni con l’altro, rispetto al troppo che ci sommerge di stimoli e informazioni, che ci toglie potenzialità, cercando invece lo spazio per il silenzio che ci permette di poter ritornare alle nostre radici più intime, riscoprendo così anche il valore di essere “un’isola”.

E quando fuori tutto tace, il rumore, quello capace di distrarci, ce lo abbiamo tra i pensieri, quelli che ci permettono di per vivere mille vite al giorno ….

Scappiamo da quel silenzio o meglio scappiamo da quelli che sono un’infinità di silenzi.

Si ha paura del silenzio, perché, pur contemplandolo spesso ci spiazza, mettendoci davanti alla percezione di essere piccini…

Ma il vero silenzio è di una bellezza imbarazzante. È maestro e mentore, capace di insegnarci ad ascoltare la nostra anima. Nel silenzio ci riconosciamo, ci scopriamo, ci lasciamo andare ad emozioni nude. 

Nel vero silenzio ci lasciamo rapire, ci lasciamo stringere dalle sue braccia forti e ci culliamo in una danza in cui volteggiando perdiamo le nostre certezze, le nostre sicurezze del dove inizia la vita e dove finisce…. 

In questo momento di isolamento ci rendiamo conto di essere, e di poter essere, una moltitudine, avendo conferma così che l’individuo non può minimamente essere considerato come una monade scollegato dalle proprie relazioni sociali e dall’ambiente che vive.

Tutti diversi, ma molti. Uniti. Legati da sentimenti ed affetti. In questi molti, ciascuno di noi ha un luogo intimo, spazio imprescindibile del proprio essere, un angolo in cui sentiamo di poter lasciare andare il nostro più profondo intimo.

Ci rendiamo conto così, che il silenzio porta con sé una grande componente trasformativa, porta con sé gli opposti e i contrari di ogni situazione.

Ovunque siamo, in ogni istante in cui ci possiamo permettere di ascoltarci ed esprimerci da nostro angolino, incontriamo noi stessi e sentiamo di essere autentici, in una continua scoperta e in un incessante bisogno di esplorare, di conoscere e riconoscerci.

È il tempo che riserviamo a noi stessi come pausa nel mondo, sospendendo la nostra efficienza, e regalandocene un’altra, fatta di attese e di conoscenza di Sé, dove si scoprono risorse, potenzialità e le fragilità, che sono presenti in noi e negli altri che, ancora nascoste o celate, attendono solo il momento giusto per fiorire.

È il luogo sicuro in cui ci ritroviamo tutte le volte che riusciamo a dipingere quel silenzio dentro di noi, quello stesso che ci permette di recuperare il nostro tempo e il nostro ritmo, quando abbandoniamo il “mondo connesso” fatto talvolta di mancanza di vicinanza, e arriviamo invece a creare uno spazio che è reale “incontro” con noi stessi o con l’altro.

Esistiamo e viviamo in una realtà in cui abbiamo la necessità di cercare la nostra libertà, che non deve essere interpretata come “onnipotenza senza limiti” o “godimento dissipativo”, ma espressione della nostra autenticità nell’essere una moltitudine che sceglie di relazionarsi all’altro.

Percezione, scambio e sensazione, una vastità interiore perfettamente palpabile che anche se taciuta è assolutamente presente. Nel silenzio c’è infatti il volto affascinante e terribile del suono della malinconia che ci rapisce con la sua immensa capacità di intensificare tutto. 

Il silenzio è ricerca, ricerca di quella melodia che ci cambia la vita, che dà senso alla vita.

Un silenzio che purifica, lava via i troppi pensieri, e ci ricorda che senza di esso non si può sentire, non si può ascoltare, non si può apprezzare, non si può vivere.

Solo nel silenzio sentiamo i battiti del nostro cuore. È nel silenzio che, chiudendo gli occhi e osservando un volto, possiamo vedere il suo essere stato bambino. Si può sentire la vicinanza nel silenzio. Ma anche la mancanza. La mancanza di quella voce di cui abbiamo bisogno. Ed è lancinante. Un silenzio che come uno tsunami travolge e distrugge tutto. Come un pennello che con una mano di tinta ricopre un muro colorato.

Attimi in cui lo sguardo si fa profondo, e si ha l’opportunità di ripercorrere ciò che è accaduto, comprendendoci, ritrovandoci.

Ma solo il vero silenzio, quello che rivela che l’essere umano è abitato dalla trascendenza nella sua pluralità di forme, ci fa capire che nella vita c’è bisogno di rumore e di amore….

Ci fa capire che abbiamo bisogno di avere qualcuno accanto che faccia rumore e che ci dia amore…

C’è bisogno di familiarizzare con questo silenzio, una conquista lentissima che comporta imparare ad abitare con noi stessi. Percorrere strade, luoghi deserti, vuoti abissali per arrivare a confrontarci con le nostre stesse fragilità, quelle che ci appartengono e ci nutrono, diventando per noi una fonte di conoscenza, indispensabili per accompagnarci nella conoscenza di noi stessi. Ci permettono di incontrare la nostra umanità e la nostra più autentica intimità.
È un dono quella cicatrice che si forma in noi. Tra dolore, memoria, mancanza e nostalgia di quello che è stato e non sarà mai più.

Tutto questo converge in un inesauribile desiderio di vivere.

Nel silenzio scopriamo, riscopriamo, ci scopriamo in una disperata quanto famelica vivacità, e così, viviamo. Eterni.

Tenerezze serali, dedicate a voi, dedicate a noi…

Prima che questa giornata volga al termine vorrei dire che….

In queste giornate in cui siamo stati costretti a mettere una marcia ridotta, abbiamo avuto e abbiamo tempo, tempo per riflettere, per pensare, per arrabbiarci, per ridere, tempo per ascoltare, tempo per sentirci.

Sempre di più mi rendo conto come non potrei essere assolutamente quella che sono oggi se non avessi ascoltato mille storie, assorbito mille esperienze, se non mi fossi “immedesimata” in mille situazioni, se non avessi litigato e discusso per proteggervi, se non avessi avuto l’opportunità di spronarvi a riposare per ripartire e se non avessi sofferto mille per mille volte insieme a voi….

….sempre più mi rendo conto che sono lì, seduta nel mio studio, e passeggio con voi nelle strade di una memoria emotiva speciale….che arriva ad oggi e vuole spiccare il volo verso il domani….

E la sera camminando tra i passaggi della mia giornata, mi dico che sono felice perché mi sento una persona migliore, ma soprattutto fortunata….

Ciascuno mi regala talmente tanto….mi offre davvero una ricchezza incredibile….

Poter stare con voi mi fa sentire fortunata…poter lavorare con le emozioni, quelle autentiche, quelle che a volte nascondiamo con un pizzico di imbarazzo…

Emozioni nascoste. Rimaste sospese in attesa del momento giusto che spesso non arriva mai perché travolto dal suo stesso ritardo….

Scoprire che siamo anche altro..

Cangianti.

Imperfettamente unici.

Veri e bugiardi tra lacrime di rabbia e disperazione.

Mi rassicura l’universalità dei nostri dolori…

Siamo tutti uguali.

Siamo tutti umani.

Anime di infinita bellezza racchiuse nella nostra fragilità.

So l’infinito senso di vicinanza nell’incrociare due occhi che si sollevano dopo un pianto, nel silenzio.

Anime nude, mai contatto è stato così tanto intimo.

Sapere che si possono rimettere insieme i pezzi di una vita, sapere che si può percorrere una strada nuova, seguendo il sentiero del cuore, procedendo sicuri un passo per volta.

Voltare pagina, lasciar andare, ricominciare.

Ho sempre usato la tecnologia, sono stata da sempre favorevole ai colloqui on-line, alla terapia via Skype come mezzo di incontro utile in alcune situazioni, ma oggi che questa è risultata essere l’unica possibilità per continuare terapie già iniziate o iniziarne di nuove, mi sembra davvero troppo poco vedervi solo e sempre tramite uno schermo.

Io che continuo ad andare in studio, ma ad aprire un computer e non una porta per accogliervi, mi sono trovata a non poter più dare un abbraccio nel momento di bisogno, una stretta sulla spalla al raggiungimento di un obiettivo, una calda stretta di mano….

Ed oggi mi trovo qui a riflettere su come ciò che alcune settimane fa era difficile, non toccare l’altro, oggi sia faticoso, mai normale…mi sta stretto….

In questo periodo i colloqui tra noi sono vissuti con la distanza di un monitor….cerco la risorsa…..

Penso che entrare in punta di piedi nelle vostre case sia un privilegio, la casa simboleggia il Sé, Khalil Gibran ci suggerisce che “La casa è il nostro corpo più grande”.

Dieci anni fa ormai, ho svolto la mia tesi di specializzazione sul significato della “Casa” in psicoterapia; la casa come metafora di noi stessi e del nostro mondo interiore.

Ricordo ancora l’emozione nel leggere il bellissimo passo di Julio Cortázar: “Mi rimangono le case in cui sono stato felice, dove ho assistito alla bellezza, alla bontà, dove ho vissuto pienamente. Guardo la fisionomia delle abitazioni come se fossero volti, torno a esse con l’immaginazione, salgo scale, apro porte e contemplo quadri. Non so se gli uomini siano troppo ingrati con le case, o se la mia gratitudine nei loro confronti sia una forma di nevrosi. Il fatto è che amo i luoghi dove ho incontrato un minuto di pace, non li dimentico mai, li porto con me e conosco la loro essenza intima, il mistero ansioso di rivelarsi che abita in ogni parete. Sono certo che le case cerchino di parlare, di farsi amare, e a volte mi spiego i fantasmi: come non ritornare dalla morte, a visitare le case amate? Io sarò un fantasma infaticabile”.

Nulla più della nostra casa è in grado di rivelare chi siamo. La casa, lo spazio, il luogo sicuro capace di proteggerci nei confronti dell’esterno, ci avvolge, tiene insieme le parti che formano quel tutto che è la famiglia….

Abitare è abitarsi. Ogni casa parla di chi vi abita, è una sorta di specchio: riflette i gusti, la personalità e soprattutto, gli stati d’animo.

La casa ha un suo inconscio: la scelta dell’arredamento, dei mobili, della disposizione delle stanze non dipendono solo da decisioni coscienti ma sono la proiezione inconscia di parti di noi che si riflettono poi sugli spazi.

Quando ci troviamo a scegliere i mobili e l’arredo della casa entriamo in contatto con la nostra vera intimità. Oggetti e mobili riflettono la nostra psiche, con cui è possibile esprimere gusti, desideri e bisogni funzionali.

Possiamo dire quindi che la casa rappresenta la parte più intima della nostra vita e anche una vetrina attraverso la quale mostriamo agli altri i nostri gusti, i nostri valori, insomma la nostra personalità…

E permettermi di entrare nel vostro spazio mi sembra davvero un enorme dono che mi fate. Aprirmi lo spazio in cui vi lasciate andare, vi ritrovate dopo il lavoro, vi rilassate, discutete e al tempo stesso trascorrete i momenti più belli con le persone che amate, è una opportunità speciale…

Parliamo, entriamo nelle emozioni cerchiamo di riconoscerle, usarle, comprenderle e gestirle in modo consapevole…Oggi, spesso il pensiero la riflessione va al tema della libertà…. Oscar Wilde, ci suggerisce “In verità l’uomo non ricerca né il piacere né il dolore, ma semplicemente la vita. L’uomo cerca di vivere intensamente, completamente, perfettamente. Quando potrà farlo senza ledere la libertà altrui e senza esserne mai leso, quando le sue attività tutte gli frutteranno soddisfazioni, egli sarà più sano, più normale, più civile, più sé stesso. La felicità è il criterio col quale l’uomo giudica la natura, è in armonia con sé stesso e col suo ambiente”.

L’anima e i pensieri viaggiano…si riattivano prepotentemente le emozioni passato e del presente, e ci fa sentire di essere vivi… padroni di sé stessi, liberi di esprimere tutto ciò che aleggia nel cuore….

Ci invade un senso di leggerezza dove ci si perde per poi ritrovarsi…

Chiudo i colloqui, ora vissuti con la distanza di un monitor, e mi sale un’emozione nuova… quasi di tristezza…. forse più di nostalgia…

Condividere, riconoscersi, fidarsi….. Affidarsi nell’appoggiarsi….

Ecco la distanza che si mostra nella sua invisibile maestosità…

E mi si stringe il ?, perché siamo lontani, si, ma so che siamo insieme…e siamo, come canta Elisa, “forti si ma poi siamo anche fragili!!!!”

…a tutti voi GRAZIE per essere per me esempio e motivo di crescita personale e professionale.

Siete, davvero, la mia più AUTENTICA finestra sul mondo!!!

Copyright © Lavinia La Torre

Sentire la Solitudine

È tutta questione di… solitudine.

Scriverla. Leggerla. Ascoltarla.

Sentire la solitudine.

Sentire la Solitudine
mattsixon .co.uk

Credo proprio che la solitudine si manifesti nell’aiutarci a non cadere nella superficialità, a non lasciarci risucchiare dall’apparenza e dall’effimero che ci uniformano al pensiero dominante e a comportamenti omologanti, falsi e, talora, ridicoli.

Se l’accogliamo e la viviamo positivamente, potremmo cominciare a vederla non più come un fardello di cui sbarazzarsi quanto prima, ma come un passaggio verso l’autenticità, un territorio nel quale educare i nostri desideri, purificare i nostri propositi, risanare le nostre ferite, conoscerci meglio per poi agire con lucidità e un rinnovato senso di responsabilità.

Ecco perché la solitudine ci appartiene e va vissuta al pari del nostro bisogno di relazione, di condivisione e di amore, che per essere veritiero dipende dalla capacità di farsi carico delle ragioni profonde della nostra coscienza.

Come possiamo leggere allora? Cambiando prospettiva, forse….

Accogliamola.

accogliere la solitudine

Cominciamo a dare voce a quel “mi sento” come se fosse un messaggio che “da dentro” sta cercando di emergere esprimendosi. Se lo interrogo, lo commento, lo giudico e lo combatto, finirò per diventare come tutti gli altri. Omologata. E allora sì che soffrirò davvero. Occorre invece percepire nel corpo quel senso di solitudine, perché il corpo ha tutte le risposte.

Guardare la solitudine quando si presenta, nient’altro.

Guardarla, riconoscerla, ascoltarla…esprimerla.

Dico spesso “metti fuori”, “fammi conoscere questa emozione”…. Parlo di quella solitudine di tutta quell’angoscia che stai provando e che hai già conosciuto nella tua vita, quando sei stata travolto da dolori profondi e personali voragini.

Certe cose, specialmente le più intime, quelle che rimangono chiuse e buie in noi per molto, tanto tempo, prima o poi esplodono con una forza dirompente, a volte persino incontrollabile.

Il cervello recepisce, elabora, ma lo fa sempre all’interno di un contesto, perché i nostri pensieri non sono meteore piovute dal cielo.

Il cielo, in sé, ci ama, e siamo noi a non voler accettare il tempo brutto, i temporali e quella pioggia che ci è necessaria, anche se è causa di maltempo, di freddo e di umidità e ci rattristiamo al solo vederla.

Oggi Bologna si è svegliata con qualche gocciolina d’acqua che accanto ai fiocchi di neve caduta ieri ovattava già un silenzio assordante.

Pioggia e neve che rallentano ancora di più un mondo che sbirciato dalla finestra mi mostra un paesaggio surreale.

Apro la finestra.

Trovarsi a sprofondare in una malinconia solitaria inspirando il profumo di un’aria primaverile che sa di quel freddo pungente che pizzica la pelle.

Le case appaiono ora come giganti dormienti. Tutto è quiete, intorno. Non un rumore a spezzare il silenzio. 

La città ha dimenticato la sacralità di questo silenzio, abbracciando confusione e frenesia.

Osservo la quiete, il silenzio: quello che mi permette di guardare al vecchio pensandolo come a quella ricchezza capace di prepararmi al nuovo; è qui che risiede la voce dell’Anima, sempre soffocata dagli strepiti della mente. Per questo si deve tacere.

Richiudo la finestra ….. guardando a quel mondo, sentendolo gelido e svuotato da quelle relazioni per me primarie.

Tropea

Si muovono i ricordi. E allora il cuore ritrova la sua dimensione naturale, quella che occupa più spazio di quello che saremmo abituati a immaginare.  ….quiete, silenzio e….solitudine….

Copyright © Lavinia La Torre