“L’essenziale è invisibile agli occhi”, ripeteva il piccolo principe, per ricordarselo, e queste parole di Antoine de Saint-Exupéry, tratte da “Il piccolo principe”, ci hanno sempre accompagnato, trasformandosi in alcuni momenti, in slogan capaci di fargli perdere il loro misterioso significato. Stampe su magliette borse e pareti di casa, ma forse non tutti si sono davvero mai fermati a collocare in sé stessi il vero significato…
Si. L’essenziale.
Per ciascuno assume una forma diversa…
Spesso, quando osserviamo la realtà o ci confrontiamo con essa, ci troviamo in una posizione ego-centrata, ci identifichiamo, cioè, con quel complesso di esperienze, relazioni, idee, percezioni e immagini, che chiamiamo “Io”, ma che in realtà “Io” non è.
Forse potremmo dire che tutte le teorie che usiamo per comprendere la realtà (che in realtà non sono altro che un “contributo”) sono dei tentativi più o meno grossolani di afferrare ciò che per sua natura risulta essere inafferrabile dalla mente egoica.
Ed ecco l’essenziale, quel qualcosa che intercorre fra noi e l’oggetto che osserviamo.
Per qualcuno essenziale è qualcosa di materiale, per altri qualcosa di spirituale, per altri qualcosa di superficiale, per altri di estremo profondo e intimo.
E così ci troviamo a riflettere su cosa sia essenziale, soprattutto in questo periodo di pandemia.
E ci scopriamo a riconoscerci concordi sul fatto che l’essenziale sta proprio nello scoprirci padroni delle nostre più profonde emozioni. Alcune non si possono descrivere, non con le parole almeno.
Sono dentro di noi. E basta.
In un abisso fatto di battiti che albergano nelle profondità del nostro cuore dove risiede la bellezza del vissuto, l’incanto della consapevolezza di sentirsi di “essere”, il dolore di ciò che abbiamo affrontato, le persone che abbiamo perso, insomma la bellezza racchiusa in noi è massima espressione di ciò che qualcuno ci ha donato, la vita…
Ecco che lì, nascosta in quell’oceano pulsante, in una mente infinita come il mio mare, perché per concepire l’infinito bisogna essere infiniti dentro, in un corpo così forte, fragile, capace di amare, odiare, piangere e gioire, sappiamo che in fondo è proprio vero… tutto è immobile fermo ad osservarci, guardarci, accoglierci, abbracciarci in una stretta vitale fatta di mille petali di cristallo che riflettono emozioni.
Un’alchimia, una magia, un qualcosa di inspiegabile come quando dal nulla versiamo lacrime, lacrime che non capiamo se siano di felicità o di tristezza, quando dal nulla, così in un attimo capiamo di essere vivi.
Scorriamo nel mondo….
Attraversiamo le stagioni, il tempo, le notti, tutto ci sembra rimanere immutato. Eppure tutto si trasforma…. cambia… si modifica…
Cadere e rialzarsi. Nascere e morire.
È tutto qui, in quella capacità dell’indescrivibilità di un momento.
Un sussurro che fa volare, un no che uccide, un forse che blocca e lascia sospesi nell’incantesimo del momento. Ci siamo e non ci siamo. E quando ci siamo, rieccoci. Cadiamo, inciampiamo nei sentimenti, nella poesia, nella pioggia di emozioni che qualsiasi cuore che si sente libero di nutrire, di provare, di sentire, vive…
Scivoliamo sull’odio, ci culliamo nell’amore, ci coccoliamo nei sospiri, sprofondiamo in quello che è un abbraccio di tenerezza che ci fa addormentare felici… possiamo essere capaci di provare tantissime emozioni, altrettante sensazioni.
E proviamo “il tutto”. E proviamo “tutto”.
Ma nella vita è difficile descrivere tutto ciò a parole. E allora si lascia spazio al silenzio, con quella paura di rimanere da soli in quel silenzio, a pensare, a pronunciare parole che non a tutti risultano avere un senso vero e profondo come si vorrebbe….
“Dopo avere camminato a lungo per le vie, in mezzo alla gente, alle cose e ai segnali, ho voglia di isolarmi dal rumore; cerco un luogo tranquillo per riposare, rilassarmi, pensare; per non pensare a niente, svuotarmi i sensi e la testa; per concentrarmi, smettere di sentire, cominciare ad ascoltare. Su una panchina, in un giorno d’agosto, in un paese che non è il mio, accanto al ponte vecchio di una bella cittadina rinnovata, davanti, sul fiume, c’è uno scorrimento silenzioso, solo ogni tanto una lunga chiatta scivola… Questa condizione di silenzio e di solitudine mi permette di ritrovare una percezione di me e del mondo che mi sta attorno, precisamente un ascolto. Il silenzio che mi sono procurato, isolandomi dai rumori normali, mi permette di ascoltare. Ma è piuttosto un pensare, un ascolto pensante. Come se prima fosse stato l’esterno a riempire la mia esperienza, e invece adesso esterno e interno agissero in me corrispondendosi. E forse è proprio questo gioco, grazie al quale esterno e interno passano l’uno nell’altro senza appiattirsi o riassorbirsi l’uno nell’altro, che mi fa sentire e pensare assieme. Mi accorgo che in questo rilassarmi ho lasciato essere una dimensione di apertura della mia esperienza che di solito è messa a tacere” (Pier Aldo Rovatti, L’esercizio del silenzio).
Cerchiamo il silenzio, grembo dell’intimità.
Lo cerchiamo, lo desideriamo il silenzio, eppure, quando lo troviamo fatichiamo ad accettarlo. Ci spaventa. Ci angoscia. Tentiamo di sfuggirlo, di respingerlo. Le certezze che generalmente crediamo di avere, diventano all’improvviso fragili, fluide e precarie …. eppure sentiamo di averne bisogno, necessitiamo di precipitare nel vuoto in esso racchiuso…
Se ci fidiamo di noi riusciremo a fare silenzio dentro noi stessi e così arriveremo a far tacere tutte le voci e i rumori che non ci consentono di avere un atteggiamento d’accoglienza. Ascoltare il bisogno di silenzio da cui, solo, può sgorgare una parola di verità.
Simone Weil ci ricorda che dobbiamo arrivare a far tacere le voci che, dentro di noi, giudicano, sono stereotipate, non vanno oltre le apparenze, si legano a superficiali spiegazioni e che trovano facili soluzioni.
Eccolo così in modo autentico, lo possiamo sentire il silenzio puro.
Il silenzio non si traduce in assenza di suoni, il silenzio ci aiuta a sentire i suoni del mondo e non i rumori frastornanti del caos del mondo.
Un eccesso di “incontro con gli altri” rischia di essere un modo per tenerci a distanza da noi stessi. Ed è proprio nel silenzio, invece, che possiamo sentire qualcosa di diverso rispetto a quando siamo immersi nella quotidianità della vita.
Creare silenzio attorno e dentro di noi, spegnendo i rumori che ci circondano e avvolgono, disturbando il nostro essere e costringendoci ad un adattamento continuo, che però può diventare perdita di sé.
Dobbiamo farci da parte andando oltre le connessioni con l’altro, rispetto al troppo che ci sommerge di stimoli e informazioni, che ci toglie potenzialità, cercando invece lo spazio per il silenzio che ci permette di poter ritornare alle nostre radici più intime, riscoprendo così anche il valore di essere “un’isola”.
E quando fuori tutto tace, il rumore, quello capace di distrarci, ce lo abbiamo tra i pensieri, quelli che ci permettono di per vivere mille vite al giorno ….
Scappiamo da quel silenzio o meglio scappiamo da quelli che sono un’infinità di silenzi.
Si ha paura del silenzio, perché, pur contemplandolo spesso ci spiazza, mettendoci davanti alla percezione di essere piccini…
Ma il vero silenzio è di una bellezza imbarazzante. È maestro e mentore, capace di insegnarci ad ascoltare la nostra anima. Nel silenzio ci riconosciamo, ci scopriamo, ci lasciamo andare ad emozioni nude.
Nel vero silenzio ci lasciamo rapire, ci lasciamo stringere dalle sue braccia forti e ci culliamo in una danza in cui volteggiando perdiamo le nostre certezze, le nostre sicurezze del dove inizia la vita e dove finisce….
In questo momento di isolamento ci rendiamo conto di essere, e di poter essere, una moltitudine, avendo conferma così che l’individuo non può minimamente essere considerato come una monade scollegato dalle proprie relazioni sociali e dall’ambiente che vive.
Tutti diversi, ma molti. Uniti. Legati da sentimenti ed affetti. In questi molti, ciascuno di noi ha un luogo intimo, spazio imprescindibile del proprio essere, un angolo in cui sentiamo di poter lasciare andare il nostro più profondo intimo.
Ci rendiamo conto così, che il silenzio porta con sé una grande componente trasformativa, porta con sé gli opposti e i contrari di ogni situazione.
Ovunque siamo, in ogni istante in cui ci possiamo permettere di ascoltarci ed esprimerci da nostro angolino, incontriamo noi stessi e sentiamo di essere autentici, in una continua scoperta e in un incessante bisogno di esplorare, di conoscere e riconoscerci.
È il tempo che riserviamo a noi stessi come pausa nel mondo, sospendendo la nostra efficienza, e regalandocene un’altra, fatta di attese e di conoscenza di Sé, dove si scoprono risorse, potenzialità e le fragilità, che sono presenti in noi e negli altri che, ancora nascoste o celate, attendono solo il momento giusto per fiorire.
È il luogo sicuro in cui ci ritroviamo tutte le volte che riusciamo a dipingere quel silenzio dentro di noi, quello stesso che ci permette di recuperare il nostro tempo e il nostro ritmo, quando abbandoniamo il “mondo connesso” fatto talvolta di mancanza di vicinanza, e arriviamo invece a creare uno spazio che è reale “incontro” con noi stessi o con l’altro.
Esistiamo e viviamo in una realtà in cui abbiamo la necessità di cercare la nostra libertà, che non deve essere interpretata come “onnipotenza senza limiti” o “godimento dissipativo”, ma espressione della nostra autenticità nell’essere una moltitudine che sceglie di relazionarsi all’altro.
Percezione, scambio e sensazione, una vastità interiore perfettamente palpabile che anche se taciuta è assolutamente presente. Nel silenzio c’è infatti il volto affascinante e terribile del suono della malinconia che ci rapisce con la sua immensa capacità di intensificare tutto.
Il silenzio è ricerca, ricerca di quella melodia che ci cambia la vita, che dà senso alla vita.
Un silenzio che purifica, lava via i troppi pensieri, e ci ricorda che senza di esso non si può sentire, non si può ascoltare, non si può apprezzare, non si può vivere.
Solo nel silenzio sentiamo i battiti del nostro cuore. È nel silenzio che, chiudendo gli occhi e osservando un volto, possiamo vedere il suo essere stato bambino. Si può sentire la vicinanza nel silenzio. Ma anche la mancanza. La mancanza di quella voce di cui abbiamo bisogno. Ed è lancinante. Un silenzio che come uno tsunami travolge e distrugge tutto. Come un pennello che con una mano di tinta ricopre un muro colorato.
Attimi in cui lo sguardo si fa profondo, e si ha l’opportunità di ripercorrere ciò che è accaduto, comprendendoci, ritrovandoci.
Ma solo il vero silenzio, quello che rivela che l’essere umano è abitato dalla trascendenza nella sua pluralità di forme, ci fa capire che nella vita c’è bisogno di rumore e di amore….
Ci fa capire che abbiamo bisogno di avere qualcuno accanto che faccia rumore e che ci dia amore…
C’è bisogno di familiarizzare con questo silenzio, una conquista lentissima che comporta imparare ad abitare con noi stessi. Percorrere strade, luoghi deserti, vuoti abissali per arrivare a confrontarci con le nostre stesse fragilità, quelle che ci appartengono e ci nutrono, diventando per noi una fonte di conoscenza, indispensabili per accompagnarci nella conoscenza di noi stessi. Ci permettono di incontrare la nostra umanità e la nostra più autentica intimità.
È un dono quella cicatrice che si forma in noi. Tra dolore, memoria, mancanza e nostalgia di quello che è stato e non sarà mai più.
Tutto questo converge in un inesauribile desiderio di vivere.
Nel silenzio scopriamo, riscopriamo, ci scopriamo in una disperata quanto famelica vivacità, e così, viviamo. Eterni.