Un tempo scarsamente conosciuta e sottovalutata nella sua importanza e nei suoi significati, giudicata con sospetto o in modo superficiale dal mondo degli adulti, l’adolescenza è divenuta nell’epoca attuale qualcosa di ben presente nell’immaginario collettivo, ponendosi come una dimensione ormai consolidata dell’esperienza umana, e una fase dello sviluppo sempre più prolungata in termini di durata ed estensione temporale. La condizione di adolescente viene a coprire oggi un arco temporale che corrisponde di fatto all’intera seconda decade dell’individuo, e che può protrarsi e riflettersi anche molto oltre, nella giovinezza e nell’età adulta, dal punto di vista della continuità e del mantenimento di certi stati mentali e modalità di funzionamento sociale e psicologico.
L’identità dell’adolescente e del pre-adolescente è mutata nel corso degli ultimi decenni con l’avvento della “società di massa”, della “società dei consumi”, della cultura dei “media” e poi della crisi/trasformazione della famiglia, del mutamento dei valori sociali (che danno spazio oggi a autonomia, trasgressione, etc.), dello stile-di-vita complessivo (più avanzato economicamente, oramai lontano dalle “società tradizionali”, anche da quella classicamente borghese). E il mutamento è stato radicale. Il pre-adolescente e l’adolescente sono oggi dentro una fase della vita che si è prolungata, per la dipendenza dalla famiglia, per l’insicurezza economica, per lo stare-a-lungo-in-formazione. Che si è fatta anche più libera, più inquieta, più carica di tensioni e di rischi. Carica di malessere e di incertezze. Il che provoca anche (e sempre di più) disagio. E disagio espresso in molte forme. Nel ribellismo. Nell’auto-lesionismo (tipo bulimìa o anoressìa). Nel vivere-al-limite le esperienze (sfide coi motori, etc.). Tutto ciò delinea uno stato d’animo diffuso di tensione, di rabbia, di insofferenza che si manifesta un po’ ovunque. In famiglia. Nella società. Nella scuola. Anche nella scuola. Con atteggiamenti di rifiuto delle regole, di indifferenza alla cultura, di ribellismo micro (o più macro), di resistenza all’impegno. Tutto ciò, però, manifesta un disagio profondo, di cui non si può ignorare l’esistenza. Anzi: lo si deve saper riconoscere e prepararsi un po’ a trattarlo e in genere senza patologizzarlo e demarcarlo come devianza. Deve saperlo capire: cioè diagnosticare, interpretare e affrontare.
Interpretare il disagio significa darsi strumenti di approccio adeguati; strumenti per comprenderlo, individuarne le forme, fissarne le tipologie, saper agire etc. Questo implica, prima di tutto, informazione scientifica, psicologica, sociologica, pedagogica. La psicologia ci aiuta a fissare i tipi di disagio; la sociologia a leggerne anche le radici e le dinamiche – sociali; la pedagogia a legare tali nozioni al caso e ad assumere un atteggiamento produttivo rispetto ad esso, di comprensione e di trattamento insieme. Trattare il disagio, poi, reclama competenze educative, di comunicazione e di intervento, che, si dispongono su alcune frontiere oggi ben delineate e condivise: costruire dialogo, dare sostegno, applicare la “maieutica”. Sono tre dispositivi non nuovi ma sempre efficaci. Il dialogo è aprirsi all’ascolto attivo e alla conversazione non direttiva e aperta. Il sostegno è esser vicini, ma senza essere intrusivi; agire non come guida, bensì come soggetto che cura (prende-in-cura e può-curare), se richiesto, se necessario. La maieutica è arte già socratica: di risveglio, di cammino insieme, di legame anche affettivo, di portare il soggetto a “conoscere se stesso” e a stare nella dialettica della propria formazione.
Portare nella scuola competenze sul disagio (su interpretazione e trattamento) è ormai necessario e improrogabile, poiché la scuola stessa sente sempre di più il disagio giovanile anche come un proprio problema. Di disciplina e di rendimento scolastico sì, ma anche di responsabilità di formazione. Che fare? Cominciare dagli insegnanti, dando loro strumenti per affrontare il problema, per capire il disagio, individuarne le forme e le cause e avviarne un trattamento scolastico: non di cura, bensì di comprensione costruita insieme (tra docenti e allievi), di discussione, di avvio di un dialogo, etc. Tutto ciò richiede, però, una formazione, almeno iniziale, degli insegnanti, che dia loro conoscenze psico-pedagogiche e li renda via via più capaci di interpretare e trattare il disagio dei propri allievi. Senza ignorarlo o delegarlo, dove c’è, allo “sportello” psicologico della scuola. Trattandolo, invece, in classe, per quanto e come possibile, attraverso la comunicazione (più empatica e legata al sostegno), la comprensione-insieme, il dialogo – faccia – a – faccia, etc.
Il disagio adolescenziale e l’insuccesso scolastico: tra queste esiste una relazione reciproca molto stretta; si può dire che ciascuna delle due componenti in gioco ricopra un ruolo di fattore di rischio nei confronti dell’altra. Da un lato il disagio nelle sue radici profonde del dolore psichico all’interno del proprio vissuto familiare costituisce nella maggior parte dei casi il primo fattore alla base sia di un cattivo rendimento scolastico che di un rapporto problematico con il mondo della scuola in generale. Dall’altro l’insuccesso scolastico può rappresentare sia un segno di allarme che porsi come un potente fattore scatenante, con il carico di stress e il vissuto di mortificazione che lo accompagnano, di uno scompenso psichico in adolescenza, oppure può fungere da ulteriore elemento che va a aggravare e rischia di pregiudicare ancor di più una situazione già compromessa, uno stato di malessere e di scompenso già avvenuto, accrescendo il vissuto di impotenza e di sfiducia circa la possibilità di riprendersi da una condizione sempre più drammatica. E’ difficile rendere conto in uno spazio limitato di tutta la gamma di fattori e di implicazioni, che solo restando nell’ambito più stretto dell’affettività l’esperienza scolastica abbraccia in rapporto all’identità e allo spazio di vita dell’adolescente. Senza dubbio il mondo della scuola, nell’insieme delle sue componenti e dei vissuti che lo caratterizzano, rappresenta un luogo di investimento privilegiato per l’adolescente. Per i ragazzi che vanno a scuola, quella scolastica si pone come l’esperienza che occupa la propria mente e la tiene impegnata in maniera intensiva per il maggior numero di ore nell’arco della settimana. A dispetto dell’accanimento con il quale molto spesso i ragazzi si sforzano, nonostante tutto, di sminuire e di negare l’incidenza e il peso che la scuola ha sulla loro vita affettiva, la portata e la ricaduta dell’esperienza scolastica sugli stati mentali dell’adolescente sono enormi. Per gli adolescenti che vi prendono parte il mondo della scuola rappresenta uno scenario fondamentale all’interno del quale si snoda la propria esperienza affettiva di relazione con i coetanei, e uno dei teatri principali in cui vengono proiettati i propri vissuti, sperimentate le proprie battaglie, i propri successi e le proprie sconfitte. Il rapporto con l’insegnante, inteso come adulto competente e con funzioni tutoriali, a sua volta è notevolmente investito sul piano affettivo, nella misura in cui costituisce un particolare tipo di relazione, che per i suoi caratteri di durata, continuità e intensità si presta fortemente a recepire e amplificare per via transferale la proiezione di ansie, conflitti e aspettative provenienti dal vissuto e dalla relazione con i genitori.
L’adolescente di oggi sembra in verità comunicare all’adulto competente e anche all’insegnante un forte bisogno di essere ascoltato, condiviso, e anche ammirato, ma è pur vero che questo bisogno emerge a intermittenza, e può manifestarsi solo a determinate condizioni, quelle nelle quali l’adolescente possa sentirsi sufficientemente rassicurato di non essere frainteso, esercitando un grado almeno minimo di controllo nella comunicazione con l’altro, senza a sua volta sentirsi manipolato. Tutto ciò sembra collimare con la perenne richiesta degli studenti di avere una scuola più vicina e più sensibile alle loro esigenze più autentiche e profonde sul piano affettivo. In certi casi, da parte soprattutto di ragazzi in evidente condizione di crisi, il bisogno di esprimersi e di sentirsi capiti a scuola può essere talmente forte da travalicare i confini della confidenza e delle relazioni intime, inducendo una confusione nei ruoli formali di studente e insegnante e un’agitazione nel clima della classe; come nel caso in cui i propri problemi vengono esposti se non addirittura esibiti aggressivamente nella pubblica piazza dell’aula scolastica, e i compiti fondamentali dell’insegnamento e dell’apprendimento arrivano a porsi totalmente in secondo piano di fronte a una richiesta urgente di aiuto, di sostegno e di condivisione, da imporre una mobilitazione di tutto il gruppo-classe.
L’ingresso nell’adolescenza funziona come una seconda nascita, come la data di un nuovo inizio, a partire dal quale è come se le esperienze venissero azzerate e la vita ricominciasse da capo, tanto è forte l’impulso dell’adolescente a guardare al presente fuori dalla famiglia, nella direzione che porta a stringere legami nel mondo dei propri coetanei di pari età. Ma il passato tuttavia, per quanto scisso, rimosso o negato, non può essere cancellato, e opera nel profondo facendo sì che l’adolescente sia portato a proiettare sulle proprie relazioni presenti con i coetanei e gli insegnanti gran parte dei conflitti che si porta dietro dalla relazione con i genitori. L’adolescente che ha troppo sofferto nella propria infanzia, che si sente troppo fragile e sopraffatto da dinamiche interne con i genitori troppo violente per essere superate più agevolmente, inevitabilmente corre il rischio di fare confusione nella relazione con i coetanei andando a scegliere e a invischiarsi in quelle dinamiche di rapporto che sono le più distruttive e le più foriere di conseguenze negative per lui. Il motivo per cui certi adolescenti che appaiono goffi, impacciati, brutti o mal vestiti sono relegati ai margini del gruppo di pari età è legato non solo al fatto che tendono ad escludersi o si danno poco o nulla da fare per essere accolti, ma anche che le comunità di coetanei alle quali bussano alle porte sono evidentemente più organizzate in senso narcisistico, più inclini a negare le radici della propria stessa sofferenza, e dunque più fobiche e meno capaci di tollerare il dolore e il contatto con quegli adolescenti più depressi, per il tipo di rapporto con i genitori presente e passato che comunicano di avere, attraverso il proprio atteggiamento, il modo di vestire e di presentarsi.
Quando l’adolescente si trova a sentirsi troppo inadeguato nel gruppo dei pari per via della natura dei propri conflitti interni, quando nella relazione con i coetanei per lui significativi sperimenta una serie infinita di sconfitte, frustrazioni e delusioni, quando il dramma presente che ripete quello del proprio vissuto familiare diventa di dominio pubblico, in una maniera che viene a violare ulteriormente la propria intimità, coinvolgendo gli ambiti che dovrebbero restare sufficientemente separati della famiglia, della scuola e delle relazioni di amicizia, l’adolescente arriva a vivere l’esperienza di un dolore arduo da sostenere. Se poi decide che la misura ha oltrepassato il limite e si lascia andare all’esplosione della propria rabbia furibonda, allora egli corre dei seri rischi per il suo equilibrio psichico, perché si mette nelle condizioni di non avere più un controllo sui propri stati mentali. Il dolore può diventare intollerabile quando l’esperienza traumatica di umiliazione e di mortificazione che è stata vissuta non incontra da parte degli adulti coinvolti un’adeguata risposta di contenimento, tale da restituire il senso della verità sulla tragedia e la violenza subita, ma piuttosto un ulteriore fraintendimento se non addirittura un’esperienza di falsità e di spoliazione di significato che lascia l’adolescente totalmente solo. E’ duro dovere constatare come quasi sempre gli adolescenti che stanno più male sono anche quelli più isolati e abbandonati a se stessi, e come in certi casi un insegnante possa ritrovarsi nel ruolo delicato di unica figura significativa in grado di dare un aiuto e assumersi una responsabilità nei confronti di quel soggetto a rischio, di fronte all’incapacità della famiglia e dell’ambiente affettivo a lui più prossimo non solo di espletare determinate funzioni, ma anche di avere una consapevolezza della gravità che sta assumendo una data situazione. I rapporti dell’adolescente con il mondo della scuola sono complessi, poiché investono problematiche che hanno una molteplicità di implicazioni affettive, toccando diversi livelli della sua personalità ed esperienza interiore. E’ inutile ribadire che la scuola ha una notevole responsabilità anche nei confronti degli adolescenti, ma è anche vero che insegnanti dotati di sensibilità, apertura e attitudine a farsi carico della sofferenza mentale possono dare un contributo ancora maggiore, migliorando il clima affettivo della classe e vicariando degnamente funzioni proprie delle relazioni d’aiuto e di segnalazione, che lo stato generale dei servizi organizzati sul territorio non ancora è sempre nelle condizioni di espletare nella maniera più efficace e perentoria con il ricorso ad altre figure professionali più specializzate. Se pensiamo al fatto che i disturbi mentali più gravi sono difficilissimi da redimere nel momento in cui esplodono nella loro forma conclamata, e che quasi sempre è a tale livello di avanzamento della patologia che simili casi si offrono alla cura e alla presa in carico dei servizi; se siamo sempre più consapevoli che un ruolo delicato e imprescindibile è legato alle nostre capacità di prevenzione; se consideriamo ulteriormente che un insieme di fattori della nostra società favorisce il proliferare di forme di pseudonormalità di tipo asintomatico, volte a negare la depressione attraverso il ricorso sempre più massiccio alle difese maniacali, e che sono sempre più numerose le manifestazioni di disagio che si presentano in forma mascherata, andando incontro al diniego e alla negazione sia da parte del soggetto che del nucleo familiare, allora ci rendiamo conto di quale funzione importantissima possono svolgere la scuola e gli insegnanti, con la loro sensibilità, nel riuscire a segnalare quando sussistano le condizioni, o comunque nell’avere una premura per i casi di bambini e adolescenti a rischio, e nel diffondere in maniera consapevole una cultura della salute mentale, che metta in primo piano la qualità delle relazioni affettive e l’attenzione all’esperienza soggettiva in rapporto alle radici emotive del disagio e della sofferenza umana.