La formazione dei primi legami affettivi è importante ai fini dell’acquisizione della competenza sociale e dell’adattamento all’ambiente e rappresenta un passaggio fondamentale nelle famiglie naturali quanto in quelle adottive.
John Bowlby noto psichiatra inglese, negli anni 1950 ha formulato la teoria dell’attaccamento, un paradigma scientifico che ha rivoluzionato il modo di concepire lo sviluppo umano.
Il concetto chiave della sua teoria è quello di sistema di controllo cibernetico.
Gli schemi emozionali e comportamentali dell’attaccamento, pur essendo frutto della selezione naturale e quindi pre-programmati, sono, anche, delle risposte che vengono prodotte grazie a processi di elaborazione delle informazioni che provengono dell’ambiente esterno, organizzate secondo un processo omeostatico.

La vicinanza con la madre e l’esplorazione dell’ambiente sono i due poli di questo sistema d’equilibrio: quando il bambino si trova davanti ad un pericolo, il sistema si attiva e mette in atto quei comportamenti che mantengono la vicinanza della madre. Il concetto d’attaccamento differisce da quello di dipendenza, perché essa non implica una relazione carica d’emotività nei confronti di individui chiaramente preferiti, non implica un legame duraturo e non le è mai stata attribuita una valida funzione biologica. Il concetto di dipendenza ha, inoltre, implicazioni di valore opposte a quelle che derivano dal concetto d’attaccamento; parlare di una persona come dipendente tende ad avere un carattere dispregiativo e riflette un’incapacità di riconoscere il valore che ha il comportamento d’attaccamento per la sopravvivenza.
Dire di un bambino che è attaccato a qualcuno, vuol dire che è fortemente portato a cercare la prossimità e il contatto specialmente in certe situazioni specifiche. Il comportamento d’attaccamento si riferisce a una delle varie forme d’attaccamento che la persona mette in atto per mantenere la prossimità che desidera.
Il comportamento d’attaccamento viene così definito come una qualsiasi forma d’attaccamento che porta una persona al raggiungimento e mantenimento della vicinanza con un altro individuo preferito, considerato in genere come più forte/esperto.
I particolari schemi del comportamento d’attaccamento variano a seconda delle esperienze che si son vissute con le prime figure importanti della propria vita.

La teoria dell’attaccamento pone l’accento sulle seguenti caratteristiche (Bowlby, 1979):

  • Specificità. Il comportamento d’attaccamento è diretto verso pochi individui, di solito in un preciso ordine di preferenza.
  • Durata. Un attaccamento persiste, non viene abbandonato durante il corso della vita, anche se durante l’adolescenza i primi attaccamenti possono diventare complementari ad altri attaccamenti.
  • Ruolo delle emozioni. Molte delle emozioni più intense sorgono durante la formazione, il mantenimento, la distruzione e il rinnovarsi di relazioni d’attaccamento. La formazione di un legame è descritta come l’innamoramento, il mantenimento di un legame come l’amare qualcuno, la perdita di un partner come il soffrire per qualcuno.
  • Ontogenesi. Il comportamento d’attaccamento per una figura preferita si sviluppa, generalmente, durante i primi nove mesi di vita. Il comportamento d’attaccamento resta facilmente attivabile fino alla fine del terzo anno di vita del bambino; più esperienze d’interazione avrà con una persona, tanto più questa diventerà la sua principale figura d’attaccamento.
  • Apprendimento. Imparare a distinguere le persone familiari dagli estranei è un processo chiave nello sviluppo dell’attaccamento.
  • Organizzazione. Dalla fine del primo anno di vita intervengono sistemi comportamentali organizzati a livello cibernetico e comprendenti modelli rappresentativi dell’ambiente e del sè. Tali sistemi vengono attivati da terminate condizioni quali: l’estraneità, la fame, la fatica e ogni causa di spavento. Possono anche essere inibiti da altre condizioni: vista della figura materna e serena interazione con essa.
  • Funzione biologica. Il comportamento d’attaccamento si verifica in quasi tutte le specie di mammiferi, ed in alcune specie persiste per tutta la vita adulta. La funzione più probabile del comportamento d’attaccamento è la protezione, particolarmente per i predatori. Il mantenimento della vicinanza di un animale immaturo a un adulto preferito è la regola che indica come tale comportamento abbia un valore di sopravvivenza.

Con il parto il neonato perde quella sensazione di protezione e calore che provava nel grembo materno e si trova a dover affrontare emozioni forti e terribili a lui sconosciute. Questa esperienza definita “trauma della nascita”,  viene sopportata soltanto grazie al supporto della madre, che attraverso il suo corpo caldo, il latte, la voce avvolgente e le carezze, gli garantisce la sopravvivenza.  Nei primi mesi di vita il neonato, per sopravvivere, ha bisogno di una persona che si occupi di lui a tempo pieno, generalmente la madre, la quale soddisfa i suoi bisogni attraverso comportamenti gratificanti, accoglienti, di nutrimento, contatto, presenza, che fanno sentire il neonato protetto e al sicuro.

Più o meno dopo il sesto mese il bambino inizia a manifestare le proprie preferenze in modo inequivocabile, mostrando di voler stare con quelle persone con le quali sta instaurando un legame. Il piccolo si sente protetto, accudito, riconosce il viso, le mimiche, il significato di tutta una serie di messaggi verbali e non e di scambi comunicativi che avvengono normalmente tra loro. La reciprocità è fondamentale nel dare inizio a quel processo che porta il bambino a “trattenere” l’immagine dell’altro nella propria mente, per imparare a tollerare la separazione e diventare autonomi. In questa fase, infatti, il bambino va formandosi un primo concetto di Sè: una sorta di immagine di sè nel mondo, una rappresentazione dei propri sentimenti profondi di fronte al fatto di vivere, che può essere un sentimento di fiducia o di sfiducia nei confronti delle persone che lo accudiscono. La reciprocità, inoltre, è, una caratteristica dell’attaccamento tra genitori e figli. Ricerche effettuate nell’ambito della teoria dell’attaccamento sono a tal proposito utili in quanto hanno cercato di individuare il contributo dato dalla figura d’attaccamento principale allo strutturarsi del legame affettivo. I risultati di tali indagini mostrano che la storia affettiva del bambino con la sua figura d’attaccamento influenza la sua capacità di regolare le emozioni e la sua possibilità di mettere in atto comportamenti congruenti con la situazione.
L’attaccamento che emerge nelle prime fasi della vita continuerà a caratterizzare, anche in futuro, il rapporto “figura d’attaccamento-bambino” ma in forme man mano più mature.
Bowlby afferma che il legame è il risultato di un sistema di schemi comportamentali a base innata.
A differenza di Freud (1920) che riteneva l’affetto del bambino determinato da motivazione secondaria, (ossia derivante dal fatto che la madre provvede ai bisogni fisiologici di nutrimento e pulizia, per cui il bambino la investe della sua pulsione libidica), Bowlby riconduce l’attaccamento alla madre ad una motivazione primaria.
Esistono, infatti, schemi pre-programmati come il pianto, il sorriso, l’aggrapparsi, che favoriscono la prossimità e il contatto con la madre e che aumentano la possibilità del piccolo di sopravvivere. Allo stesso modo anche la madre sviluppa una sensibilità pre-programmata capace di cogliere e decodificare i segnali del figlio.
La madre diviene una base sicura per il figlio, in quanto gli fornisce: presenza, disponibilità, prontezza, incoraggiamento. Affidarsi ad una base sicura, per il bambino, a sua volta significa: poter riuscire ad affacciarsi con coraggio verso il mondo esterno sapendo di poter tornare dal genitore qualora si sentisse spaventato o minacciato, perché sarà sempre  accettato, confortato e ben voluto. Il fatto che l’attaccamento sia “monotropico”, ossia con una singola figura, se diventa assoluto, può avere implicazioni profonde per lo sviluppo delle competenze sociali e dell’autonomia.
Gli attaccamenti di un bambino piccolo devono essere meglio pensati come una gerarchia: solitamente, ma non necessariamente, con la madre al vertice, seguita da vicino dal padre, nonni, fratellini ecc. È necessario che il bambino nel corso della sua crescita impari a capire che la figura cui egli è attaccato deve essere condivisa con il suo partner sessuale e con gli altri fratellini, il che fa della separazione e della perdita una parte inerente alla dinamica di attaccamento: la capacità di separarsi dalle figure d’attaccamento e di formare nuovi attaccamenti rappresenta una sfida evolutiva molto importante.
Fra il sesto e l’ottavo mese, fino all’inizio del secondo anno di vita, avviene, infatti, un cambiamento rispetto alle prime fasi del legame, che è da ricondurre sia allo sviluppo cognitivo, (come la conquista della permanenza dell’oggetto) che consente al bambino di discriminare la madre dalle altre persone; sia all’attivarsi di predisposizioni di natura filogenetica come la paura dell’estraneo. È proprio intorno agli otto mesi che si verifica l’imprinting filiale ossia quella capacità del piccolo di fissare e conservare nella memoria le caratteristiche della figura allevante (questo concetto Bowlby lo mutua da  Konrad Lorenz). Quest’ultima costituisce una base sicura, a partire dalla quale il bambino esplora l’ambiente e si rifugia.
Se un bambino, ha avuto l’opportunità di formare un forte legame d’attaccamento, può legarsi affettivamente a qualcuno e quindi sentirsi accolto e protetto. La possibilità che un bambino presenti dei problemi d’attaccamento dipende, dunque, dalla forza e dalle caratteristiche degli attaccamenti iniziali, dall’età in cui è avvenuta la separazione o la rottura, da eventuali incontri successivi.

Quando Mary Salter Ainsworth lavorava presso la Tavistock Institute, ha condotto uno studio longitudinale basato su osservazioni sistematiche e ripetute nel tempo dell’interazione madre-bambino durante tutto il primo anno di vita e ha misurato con la metodica “Strange Situation” l’impatto del legame affettivo sulla capacità del bambino di provare e regolare certe emozioni.
La Strange Situation si basa su otto episodi, ciascuno di pochi minuti, durante i quali il bambino si trova in una situazione che rappresenta per lui un progressivo accumulo di tensione. Dallo studio è emerso che se un bambino durante i primi mesi di vita ha avuto una madre attenta e sensibile alle sue richieste, nella Strange Situation risulta in grado di eplorare in maniera attiva l’ambiente circostante. Quando la madre lo lascia con un estraneo si sente a disagio ma dimostra di superare la separazione, perché comunque si lascia confortare da tale presenza e riprende a giocare. Quando la madre torna le corre incontro con calore ed affetto, dimostrando di non aver alcun rancore per averlo lasciato solo. Questo tipo di legame è basato sulla certezza di poter avere una madre che si pone come base sicura, ed è per questo che bambini che mostrano questa organizzazione del comportamento e questa regolazione delle emozioni sono stati chiamati dalla Ainsworth bambini sicuri. Se un bambino, nel corso del primo anno di vita, ha sperimentato il rifiuto del suo bisogno d’affetto perché ha avuto una madre che ha scoraggiato il contatto fisico soprattutto in situazioni nuove di disagio e di paura, formerà un attaccamento evitante o distaccato. Il bambino in presenza e assenza della madre mette in atto comportamenti di falsa autonomia: si impegna nel gioco anche quando la madre si allontana, sembra tranquillo e concentrato. Anche nel caso avesse provato momenti di tensione e sconforto, alla madre non mostra il suo dolore per la separazione. Il bambino che, invece, ha avuto una madre imprevedibile nelle risposte, elabora un tipo di legame d’attaccamento insicuro di tipo ansioso – ambivalente. In presenza della madre si mantiene stretto ad essa, in assenza mostra segni di sconforto, piange e non esplora l’ambiente che lo circonda. Quando la madre torna e cerca di prenderlo in braccio, però, fugge dal contatto; mostra segni di rabbia e anche se viene confortato non riesce a calmarsi.

Il bambino fa ricorso a quella che viene detta “rabbia disfunzionale”, ossia mette in atto comportamenti aggressivi proprio nei confronti della persona dalla quale voleva essere protetto.

Ricerche successive condotte da Main, Kaplan e Cassidy (1985) hanno evidenziato un’altra tipologia d’attaccamento: ansiosa disorganizzata.
Il bambino nella Strange Situation, mostra sequenze disorganizzate di comportamento: resta immobile, si copre gli occhi alla vista della madre

In generale è importante ricordare che l’ansia da separazione è una reazione comune a tutti i bambini; il suo superamento avviene attraverso la percezione della figura d’attaccamento come “base sicura”, come punto di riferimento certo, da cui potersi allontanare per esplorare l’ambiente fisico e sociale nella certezza che, in caso di necessità, il suo aiuto e conforto non verranno a meno. La possibilità che un bambino presenti problemi d’attaccamento dipende dalle caratteristiche degli attaccamenti iniziali, dall’età in cui è avvenuta la separazione o la rottura, da eventuali incontri successivi. Intorno ai 18 mesi il bambino costruisce un modello operativo interno, ossia una rappresentazione interna della relazione con la figura d’attaccamento principale. Tale rappresentazione tende a fare da filtro nell’interpretazione delle informazioni che provengono dall’ambiente esterno.
 

La carenza affettiva è stata oggetto di importanti ricerche tra il 1940 e il 1960.

Bowlby, nella sua teoria della perdita, considera l’angoscia come una risposta realistica da parte di un individuo vulnerabile per la separazione o per una minaccia di separazione dall’agente delle cure materne. Dato che la dinamica d’attaccamento prosegue per tutta la vita adulta, l’angoscia da separazione sorgerà ogni volta vengano minacciate le relazioni più importanti. Egli considera la reazione al lutto come un caso particolare di angoscia da separazione, considerando il fatto che la perdita è una forma irreversibile di separazione.
Mentre l’angoscia di separazione è la risposta usuale a una minaccia di perdita, il lutto è la risposta alla perdita dopo che si è verificata.
È impossibile definire la carenza affettiva in maniera univoca, poiché bisogna tener conto, nell’interazione madre – bambino di tre dimensioni:

  • l’insufficienza dell’interazione che rimanda all’assenza della madre e del sostituto materno (affidamento istituzionale precoce);
  • la distorsione che tiene conto della qualità dell’apporto materno (madre imprevedibile);
  • la discontinuità del rapporto che provoca la separazione, quale che ne siano i motivi.

Per crescere sereno il bambino ha bisogno di stabilità, di punti di riferimento chiari da individuare perché essi rappresentano le fondamenta su cui costruire pian piano il proprio senso di sicurezza e la propria identità. Nei primi quattro anni di vita il sostegno al proprio Sè proviene essenzialmente dalle figure d’attaccamento principali, mentre verso i cinque-sei anni l’identità individuale poggia sull’identità familiare. A quest’età, nel confrontarsi con il mondo esterno, il bambinio ha una maggiore e piena coscienza di incontrare altri adulti e bambini. Il Noi familiare nell’infanzia diventa, quindi, importante perché gli altri Noi sono ancora troppo deboli; è, infatti, l’identità familiare a fornire quella sicurezza della quale un bambino ha bisogno quando si trova fuori casa.

La teoria dell’attaccamento conferma la centralità del legame primario, quello con la madre, destinato a segnare l’imprinting per la formazione dei legami successivi: il modo in cui chi si occupa del bambino accoglie le sue reazioni alla perdita, influenzerà certamente in modo determinante lo sviluppo successivo di quel bambino.