Malgrado le tante critiche e condanne di cui è stato oggetto, Freud continua ad esercitare un’influenza determinante sui modelli di comportamento odierni e sulla cultura contemporanea in generale, come dimostra l’ampia diffusione delle sue opere. Diverse sono le discipline che hanno subìto questo influsso: oltre alla psicologia e alla psicopatologia, che esprimono in massimo grado il loro debito nei confronti di Freud, l’influsso dello psicanalista di Vienna è fortemente operante anche nelle ricerche di carattere sociologico (Marcuse, Fromm), nella pedagogia (che alla luce del pensiero freudiano ha riconsiderato il problema del fanciullo e dei suoi rapporti con la famiglia e la società) e nell’antropologia. Va ricordato inoltre l’approccio psicanalitico ai fenomeni artistico-letterari, alla storia e alla mitologia.
Freud è stato a lungo diffidente nei confronti della filosofia, ma ha finito per riconoscere più volte le implicazioni teoriche delle sue indagini e delle sue scoperte. Partito come terapeuta di malattie mentali, già nelle sue prime opere (Interpretazione dei sogni, Psicopatologia della vita quotidiana) egli appare consapevole del fatto che il suo discorso investe l’uomo in quanto tale e non solo come "essere malato". Più tardi i vari cicli di lezioni e alcuni suoi saggi, evidenzieranno maggiormente la portata filosofica delle sue ricerche; ma saranno gli scritti della tarda maturità e della vecchiaia che affronteranno in modo formale e diretto tutta una serie di problemi di ordine antropologico, morale e sociologico. Opere come Totem e tabù, Il disagio della civiltà e la Metapsicologia, appartengono interamente ad un ambito filosofico.
Oltre agli scritti propriamente filosofici, anche in quelli psicanalitici ci sono valenze filosofiche, proprio perché Freud si occupa della natura dell’uomo, dei piani in cui l’uomo è diviso e delle forze che operano in lui, dei bisogni e dei desideri profondi dell’essere umano. Per questo egli mette in discussione il concetto di libero arbitrio, modifica i concetti di ragione e di coscienza, delinea una concezione estremamente complessa dei rapporti fra individuo e società, e propone, in ultima analisi, un’interpretazione nuova della religione, della morale, della storia e della società.
Tutto questo ha fatto sì che oggi non vi siano più dubbi circa l’influsso di Freud sulla cultura, tanto che ormai non si discute più sull’effettivo valore di questo influsso, ma si discute sui fondamenti teorici della psicanalisi, la validità dei suoi strumenti e delle sue procedure, il senso delle sue tesi sull’uomo e la società e i suoi rapporti con le altre scienze.
Freud nasce a Freiberg (in Cecoslovacchia) nel 1856 da famiglia ebraica e trascorre l’infanzia e la giovinezza a Vienna. Qui si iscrive alla facoltà di Medicina, dove si laurea nel 1881 in fisiologia, specializzandosi subito dopo in neurologia (1885). Entrato in rapporto con Josef Breuer, Freud comincia a discutere con questi di malattie nervose, di disturbi mentali e della loro terapia. Molto importante, nella sua formazione, fu un soggiorno a Parigi che gli permise di frequentare le lezioni del grande psichiatra Charcot, il quale insegnava a trattare le malattie nervose non tanto su un piano fisiologico, ma da un punto di vista psicologico.
Aperto uno studio per malattie nervose dove applica regolarmente la terapia ipnotica, attraverso l’uso della quale anche i pazienti affetti dai più gravi disturbi nervosi si placano, raccontando fatti mai esposti in condizioni normali, Freud riceve le critiche da parte della medicina ufficiale del tempo, ispirata a principi positivistici e convinta della natura puramente organico-materiale dei disturbi mentali. Freud si accorge ben presto dell’autonomia e della peculiarità delle sue ricerche, dato che i disturbi di alcuni suoi pazienti appaiono sintomi di disturbi più profondi, legati non a vicende organiche ma alla storia passata del paziente stesso. Fu Breuer ad elaborare una terapia consistente nell’enucleare i vari aspetti della malattia e nel risalire alle loro cause remote, in una specie di viaggio a ritroso nel tempo, ma fu indotto da diverse ragioni a non generalizzare quella spiegazione oltre il caso specifico in cui si era rivelata valida (Il caso di Anna O.). Freud invece non esiterà ad elaborare, sulla base di questa vicenda terapeutica, una vera e propria teoria della malattia mentale e del modo di curarla, la cui prima elementare formulazione appare in Studi sull’isteria del 1895.
Il trattamento di Anna O., ragazza isterica, permise al medico di rivelare che i sintomi scompaiono quando se ne scopre il senso. Era nata la psicanalisi. Prima di Freud, l’isteria veniva considerata la malattia della simulazione. Freud dirà che l’isteria è legata all’attaccamento troppo violento della bambina al padre. L’amore, che si scontra col divieto dell’incesto, viene rimosso nell’inconscio. Non potendo amare il padre, l’isterica non può amare nessuno, poiché tutti gli uomini le richiamano la figura del padre.
La malattia mentale è la conseguenza di un conflitto troppo violento tra le varie forze (o pulsioni) che risiedono nell’essere umano: un conflitto che determina fenomeni assai gravi, come la rimozione, che possono far cadere il soggetto in uno stato di nevrosi. La terapia consiste nell’aiutare il malato a portare a livello cosciente quegli episodi e quei conflitti che, a livello profondo, hanno generato uno stato nevrotico. Proprio svolgendo questa indagine Freud scopre che gli individui affetti da determinati disturbi nevrotici incontrano gravi difficoltà a raccontare le vicende che più direttamente hanno provocato il disturbo nevrotico; manifestano cioè delle resistenze, ovvero una sorta di incapacità, malgrado la buona volontà a livello cosciente del soggetto in cura, di individuare e svelare a se stesso e al medico la causa primaria della propria nevrosi.
La terapia ipnotica sembrava rappresentare una soluzione di questo problema, ma Freud scopre che essa rappresenta anche un pericolo, sia perché instaura un rapporto di dipendenza fra il paziente e il suo medico, sia perché la guarigione che fornisce è illusoria, in quanto cessato l’effetto dell’ipnosi cessa anche quella. In definitiva l’ipnosi era solo un palliativo. Per questo Freud la abbandona e ritiene che la vera guarigione debba consistere in un atto conoscitivo compiuto dallo stesso paziente, in stato di consapevolezza, della ragione del proprio disturbo. In stato di coscienza il paziente inizierà a raccontare, e quando si incepperà l’analista capirà che si tratta di un elemento importante (e aiuterà il paziente a superarlo).
Le ardite generalizzazioni operate da Freud e la crescente insistenza con cui egli poneva al centro della vita dell’individuo, sia sano che malato, la sessualità, determinarono la dolorosa interruzione dell’amicizia con Breuer e le critiche di gran parte del mondo accademico. Nonostante questo Freud approfondisce il campo delle sue ricerche. Nel 1899 pubblica l’opera che è considerata dai più come il suo capolavoro: L’Interpretazione dei sogni. Alla base di questa indagine vi è la tesi secondo cui anche il sogno costituisce un sintomo (mediatamente): non si tratta cioè solo di una funzione organica o di un accozzo casuale di immagini, ma di un’attività connessa con la vita profonda dell’individuo. Parzialmente libero dalle proprie censure e dai propri condizionamenti, l’individuo dormiente esprime nel sogno i propri bisogni, desideri, e il loro appagamento. Ma li esprime in vesti improprie, per cui a prima vista non sono così facilmente riconoscibili: occorre allora passare dal contenuto manifesto al contenuto latente, in modo tale da svelare la vita profonda dell’individuo. La scienza del tempo accolse abbastanza freddamente l’opera sui sogni, in quanto vi vedeva un allontanamento dai suoi principi.
La psicopatologia della vita quotidiana, pubblicata nel 1901, fece conoscere il pensiero di Freud ad una più ampia cerchia di lettori, a causa dell’interesse per le tematiche legate alla vita quotidiana di ogni individuo. In questa ricerca Freud sostiene che anche i piccoli gesti, i lapsus, le azioni più banali, non sono mai realmente casuali e prive di senso, ma rivelano i bisogni e i desideri profondi dell’individuo.
Nel 1905 Freud pubblica Tre saggi sulla sessualità, opera che susciterà vivo scalpore a causa delle teorie dello psicanalista su un argomento così delicato. Freud contesta la tradizionale contrapposizione fra sessualità buona e sessualità cattiva e sostiene che, accanto all’attrazione fra i due sessi vi sono anche altre forme di attrazione che non vanno occultate, ma esaminate. Egli contesta la riduzione della sessualità alla funzione riproduttiva, mostrando che essa esprime pulsioni verso il piacere che sono complesse e variamente graduate. Sempre all’interno di questo testo egli critica uno dei principi della psicologia tradizionale, quello secondo cui la sessualità sarebbe una prerogativa dei soli individui adulti: Freud dimostra che anche i bambini possiedono, sin dalla più tenera età, una loro vita sessuale, dapprima intensamente connessa con altre funzioni vitali e poi autonoma. Per fare questo occorre guardare alla sessualità non solo come unione carnale, ma come ricerca del piacere fisico. Freud suddivide l’attività sessuale del bambino in tre stadi, a seconda dell’organo che viene consacrato a tale attività, e precisamente fase orale, anale e genitale. Proprio mentre entra in questa terza fase, il bambino entra in competizione col padre, nel senso che è geloso della madre che egli vorrebbe possedere senza doverla dividere con altri (complesso di Edipo).
Nonostante le riprovazioni dell’ambiente medico ufficiale del suo tempo, già agli inizi del novecento Freud può raccogliere attorno a sé i primi discepoli, tra cui Adler, Rank e Stekel. Presto nacque addirittura un’associazione, che prese il nome di Società Psicoanalitica di Vienna. Molto importante per lo sviluppo del movimento psicoanalitico fu l’amicizia tra Freud e Jung, il quale in quegli anni stava compiendo ricerche molto simili a quelle freudiane; per alcuni anni essi lavorarono insieme, sino a quando, nel 1913, l’amicizia fu interrotta clamorosamente perché Jung, come altri psicanalisti prima di lui, si rifiutava di attribuire alla sessualità quel ruolo centrale nella spiegazione dei fenomeni che vi attribuiva Freud.
Nonostante questo, nei primi due decenni del Novecento, il movimento andava diffondendosi: nel 1908 a Salisburgo fu tenuto il primo Congresso internazionale di psicoanalisi e venne, in quell’occasione, fondata anche una rivista specialistica nel settore, alla quale collaborarono gli studiosi che già abbiamo incontrato, oltre ad altri tra cui Ferenczi, Abraham e Jones. Nel 1910 si tenne a Norimberga il secondo Congresso, che sanzionò la nascita della Società Psicoanalitica Internazionale, di cui Jung fu nominato presidente, mentre al gruppo di Vienna andò il controllo della rivista.
La vita del movimento fu molto turbolenta, caratterizzata da continui abbandoni e dissensi dalle posizioni di Freud, il quale continuò comunque a lavorare assiduamente e producendo molti risultati. Oltre a rivedere continuamente alcune sue posizioni, egli cerca ora di delineare i principi di una nuova psicologia sistematica e alle possibili applicazioni delle procedure psicoanalitiche ad altri campi delle scienze umane e storico-sociologiche, senza dimenticare l’arte e la letteratura, dove cercherà di dimostrare in quale modo la psicoanalisi può aiutare a comprendere sia l’artista che l’opera d’arte (Scritti sull’arte, la letteratura e il linguaggio). Escono così in questi anni opere come Al di là del principio del piacere (1920), L’Io e l’Es (1923), Casi clinici (1924) e Introduzione alla psicoanalisi (contenente testi di lezioni tenute fra il 1915 e il 1917, integrate poi nel 1932). Opere di psicologia sistematica sono Metapsicologia (1915), Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte (saggio di carattere psico-sociologico, che esce nel 1915), Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), Avvenire di un’illusione (1927), il celebre Disagio della civiltà (1929). Quindi opere di carattere storico-psicoanalitico, come Totem e tabù (1913) e Mosè e il monoteismo (1938). L’attività di Freud fu enorme, se si consideria che nel 1923 fu colpito da un cancro alla mascella che gli procurò sofferenze infinite e numerose dolorose operazioni. Muore il 23 settembre del 1939.
Nell’ultima parte della sua vita, Freud si dedicò a ricerche di carattere storico, antropologico e sociale, che lo portarono ad applicare i suoi principi psicoanalitici alla cultura in genere. Freud precisa che in questi lavori ha dato corso alla libera speculazione, per cui i risultati non sono da collocare sullo stesso piano della dottrina psicoanalitica generale; resta comunque a questi lavori il merito di aver indicato tutta una serie di problemi ai quali la psicoanalisi potrebbe dare una soluzione.
In "Totem e tabù" Freud, da tempo era impegnato in un’intensa ricerca sull’origine anche storica del sentimento di colpa accertabile nell’uomo associato non meno che nell’individuo singolo, propone un’ipotesi in parte mutuata da Darwin. All’alba della storia dell’umanità gli uomini vivevano in orde capeggiate da un maschio padrone di molte donne e padre di innumerevoli figli. Gli altri uomini erano costretti a cercarsi delle compagne fuori della tribù, e le donne di questa erano destinate ad accoppiarsi solo col capo dell’orda. A un certo punto i giovani maschi hanno deciso di ribellarsi a questa situazione uccidendo il capo-padre. Tale gesto ha liberalizzato la situazione sessuale (e anche politica) in seno all’orda, ma ha indotto negli autori del parricidio un fortissimo senso di colpa e un conseguente desiderio di espiazione. Questa ricerca di Freud si ricollega ai suoi studi sul complesso di Edipo e in genere sulla centralità, entro la vita psicologica dell’individuo, dei suoi rapporti col padre; si connette inoltre alla riflessione freudiana sulla religione, sviluppata in modo sistematico nell’Avvenire di un’illusione. In quest’ultima opera Freud (che qui si rivela legato ad un certo tipo di cultura materialistico-positivistica diffusa in Germania verso la fine dell’Ottocento) spiega la religione in chiave esclusivamente antropologico-psicoanalitica. A suo avviso infatti, la religione si fonda solo sui bisogni e sulle angosce dell’uomo; a livello sociale poi la religione serve a mantenere un determinato sistema di leggi e di norme. Secondo Freud l’umanità moderna dovrebbe liberarsi da quel complesso di illusioni che sono le credenze religiose. Freud però non nota ancora nell’uomo un cambiamento in questa direzione e ritiene quindi che l’uomo non abbia attinto ancora il necessario livello di maturità e di saggezza (anche se resta convinto che il progredire del sapere avrebbe spazzato via ogni forma di religione).
Nel saggio su Mosè e il monoteismo Freud riprende alcuni temi di "Totem e tabù", ma aggiunge una riflessione sull’ebraismo e sull’antisemitismo resa drammaticamente attuale dalle grandi persecuzioni antisemite perpetrate dal nazismo. A parte la tesi che Mosè fosse un egiziano, la prima parte del lavoro sostiene che gli Ebrei hanno ucciso in Mosè il loro padre, seguendo in questo lo schema delineato in "Totem e tabù". Per questo essi hanno poi provato un forte sentimento di colpa e hanno sempre oscillato nel trascorrere del tempo fra l’odio e l’obbedienza nei confronti di Mosè. Nell’accusare gli Ebrei di aver ucciso Dio (il padre) molti popoli hanno in qualche modo ripreso la teoria freudiana, convalidandola. L’antisemitismo secondo Freud si fonda comunque su basi ben più complesse di queste. In particolare si basa sull’ostilità verso una popolazione molto antica e dimostratasi capace di mantenere una notevole compattezza etnica e culturale, mai distrutta dalle moltissime persecuzioni di cui è stata fatta oggetto. Si fonda inoltre su un inconscio sentimento di invidia nei confronti di un popolo ritenuto il favorito del Signore. Si fonda infine su una serie di fattori inconsci, quali l’orrore per la circoncisione (evocante l’idea della castrazione), che possono essere spiegati con strumenti psicoanalitici.
Un discorso a parte merita il Disagio della civiltà: saggio del 1929. In quest’opera Freud si propone di analizzare la genesi e le funzioni della civiltà dal punto di vista dell’individuo e della sua felicità; analizza le cause dell’infelicità umana e i modi per porvi rimedio. Sempre in base ai principi di felicità ed infelicità dell’individuo Freud passa poi ad analizzare l’essenza stessa della civiltà, per rivelare elementi tradizionali ma anche fattori che pongono grossi interrogativi. E’ il caso dei principi/valori di bellezza, pulizia ed ordine (tipici della civiltà occidentale), che negano certi istinti umani e certe esigenze. Per Freud caratteristica fondamentale della civiltà è la sostituzione del potere della comunità a quello del singolo, per cui essa si identificherebbe in tutta una serie di limitazioni della libertà dell’individuo. Nell’imporre un potere esterno alla persona dell’individuo, nel limitarne la libertà individuale, la civiltà provoca dei danni gravissimi all’individuo medesimo, in quanto obbliga l’uomo a inibire un numero considerevole di desideri e di pulsioni, a rinunciare al soddisfacimento di molte esigenze profonde del suo essere, ovvero a deviarle in atti che non soddisfano pienamente l’individuo. La vita libidica dell’individuo risulta quindi chiaramente danneggiata, e Freud spiega questo fatto dicendo che la società non può rinunciare all’energia dei suoi membri e deve quindi obbligare ognuno di essi ad investire, attraverso opportune sublimazioni, l’energia libidica in prestazioni di tipo sociale. Di conseguenza diminuirà l’energia di cui il singolo può disporre per soddisfare le proprie esigenze di un piacere personale. Ma la società non si accontenta di questo e cerca con vari mezzi (tra cui il processo di identificazione) di spersonalizzare i propri membri, eliminando la ricerca individuale della felicità e diventando per costoro il modello in cui riflettersi, o ancor più il polo cui aggregarsi con vincoli libidici. I regimi totalitari che si andavano insediando in quegli anni sembravano confermare queste tesi: i dittatori riuscivano, attraverso diversi meccanismi di persuasione, ad incarnare agli occhi delle masse la figura del padre, suscitando così in essi istinti di attrazione libidica e di identificazione. Anche senza arrivare al caso estremo dei regimi totalitari, Freud nota che ogni civiltà, in quanto tale, tende a reprimere la vita libidica del singolo e la ricerca individuale della libertà e del piacere, attraverso l’imposizione di valori, principi e norme di comportamento lontani dalle esigenze profonde dell’essere umano.
Questo non significa che Freud condanni la società senza appello; egli appare anzi comprensivo nei confronti delle situazioni che hanno portato le varie civiltà ad elaborare queste forme di repressione, in quanto per lui l’uomo è un essere malvagio, di cui una delle pulsioni più profonde è l’aggressività. Se all’uomo fosse permesso di dare libera espressione ai suoi istinti qualsiasi vincolo intersoggettivo verrebbe spezzato (come per Hobbes, anche per Freud l’uomo è un lupo per l’altro uomo). Si pone quindi la necessità di reprimere questi istinti distruttivi.
La civiltà si adopera con molto impegno nel reprimere questi istinti dell’uomo, in particolare attraverso l’instaurazione del Super-io e del sentimento di colpa. Attraverso l’opera educativa poi la società prosegue nell’individuo l’opera paterna (consolida il Super-io familiare e vi aggiunge un nuovo Super-io di carattere sociale).
Freud, nel Disagio della civiltà propone una problematica estremamente importante e ancora oggi attuale. Egli è consapevole delle esigenze connesse con la convivenza intersoggettiva, e non ha condannato la società e la civiltà come tali: egli ha denunciato con fermezza le implicazioni di una pratica sociale eccessivamente repressiva. Ha riproposto la tematica cara a Rousseau dell’antinomia fra bontà dell’individuo ed esigenze dell’ordine e del progresso sociale. Ha demistificato valori e principi morali ritenuti ovvii e universali, mostrando in qual misura essi possono turbare l’equilibrio psichico profondo dell’individuo. Freud non ha tratto tutte le conseguenze che erano implicite nella sua analisi, limitandosi a postulare lo studio della patologia delle comunità civili e mostrandosi non poco pessimista sulla possibilità della civiltà degli uomini di riuscire ancora a dominare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla loro pulsione aggressiva ed autodistruttrice. Tuttavia questo saggio ha avuto il merito di spingere ad una riflessione sull’atteggiamento della società nei confronti dell’individuo. Freud insegna all’uomo non solo come può conoscere meglio la propria vita conscia e inconscia, ma anche come può riproporsi i grandi problemi della civiltà e della vita associata in rapporto al proprio essere ed alla propria esigenza pulsionale di piacere e di felicità.
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