Il termine “alessitimia”, derivante dal greco (a=mancanza; lexis=parola; thymos=emozione), letteralmente mancanza di parole per le emozioni, fu coniato da Sifneos (1973) per indicare una costellazione di caratteristiche cognitive ed oggettive; infatti molti pazienti affetti da disturbi psicosomatici classici presentavano una marcata difficoltà ad esprimere i propri sentimenti soggettivi, uno stile comunicativo caratterizzato da una estrema attenzione per i più piccoli dettagli degli eventi esterni e da una assenza o forte riduzione di fantasie.

Riconoscendo il crescente interesse per il costrutto, l’alessitimia fu scelta come tema principale dell’XI Conferenza Europea sulle Ricerche Psicosomatiche, svoltosi ad Heidelberg nel 1976. In questa conferenza fu riconosciuta la necessità di una definizione precisa del costrutto dell’alessitimia.
Secondo la sua  definizione attuale il costrutto dell’alessitimia si compone delle seguenti caratteristiche:
  • difficoltà nell’identificare i sentimenti e distinguerli dalle sensazioni corporee che si accompagnano all’attivazione emotiva;
  • difficoltà nel descrivere ad altri i propri sentimenti e le sensazioni soggettive;
  • processi immaginativi limitati, povertà di fantasie;
  • stile cognitivo legato allo stimolo, e orientato all’esterno.
I soggetti alessitimici presentano altre caratteristiche, non facenti parte del costrutto, emerse in associazione a quelle principali, che sono comunque indice di una carente capacità nella regolazione emozionale; ad esempio, essi:
  • oscillano tra comportamento dipendente ed evitante;
  • ricorrono raramente agli altri per ottenere soccorso o conforto;
  • sono persone ben adattate, che hanno aderito in modo conformista alle esigenze della sociètà: danno un’impressione di “pseudo-normalità” e a volte sembrano seguire un vero e proprio manuale di istruzioni;
  • raramente sono in grado di riferire i loro sogni, quando lo fanno emergono contenuti mentali arcaici espliciti, oppure vengono riprodotti banalmente avvenimenti senza le abituali operazioni oniriche di simbolizzazione, condensazione, spostamento;
  • mostrano una ridotta capacità empatica: è stata trovata una scarsa accuratezza nell’individuare emozioni comunicate tramite espressioni facciali in soggetti alessitimici, e una difficoltà a riconoscere le emozioni veicolate da frasi che descrivevano una situazione senza nominare specificamente alcuna emozione;
  • lamentano in genere sintomi somatici, più che problemi psicologici;
  • il loro stile maladattivo di regolazione delle emozioni può esprimersi nell’azione: in situazioni di stress invece che avvertire il disagio sul piano psicologico, i soggetti alessitimici tendono a ricorrere a dei comportamenti inadeguati, assumendo alcool, cibo in eccesso, droghe, farmaci, oppure accusando disturbi fisici dovuti a un’instabilità del sistema nervoso autonomo; in pazienti psichiatrici l’alessitimia è stata correlata positivamente con il binge eating e lo sviluppare cefalea, negativamente con comportamenti più adattivi come rivolgersi a una persona cara per cercare di capire i propri problemi;
  • presentano una disforia cronica, possono avvertire sensazioni emotive di nervosismo irritabilità, noia, tristezza, o manifestare accessi di pianto, collera, rabbia.
Quest’ultimo aspetto sembra contraddire la definizione del costrutto, ma un’indagine approfondita dei soggetti classificati come alessitimici, mostra che essi sanno molto poco sui loro sentimenti e sono incapaci di collegarli a ricordi, a fantasie, ad affetti di livello superiore o situazioni specifiche. Soggetti con problematiche diverse possono avere momenti in cui piangono senza sapere perché, ma il motivo viene abbastanza colto facilmente con l’introspezione o il colloquio clinico; nei soggetti alessitimici scoprire il motivo è più complesso perché non stanno attuando una rimozione, ma di non aver mai conosciuto a livello conscio quel motivo. I soggetti classificati come alessitimici sanno, dunque, molto poco sui propri sentimenti e in molti casi, sono incapaci di collegarli con ricordi, fantasie o situazioni specifiche.
L’alessitimia è caratterizzata come un costrutto a molte sfaccettature, le cui caratteristiche salienti possono essere distinte da un punto di vista concettuale; esse sono, tuttavia, collegate tra loro da un punto di vista logico: uno stile cognitivo orientato all’esterno riflette un’assenza di pensieri e fantasie, così come una gamma ristretta di espressività emotiva, in quanto le fantasie, i sogni, gli interessi, il gioco sono importanti risorse per modulare l’esperienza emotiva. Alla base dell’alessitimia ci sono delle difficoltà nella capacità di elaborare e regolare le emozioni, non sorprende il fatto che essa sia stata concettualizzata come un possibile fattore di rischio per molti disturbi somatici e psichiatrici che hanno a che fare con problemi di regolazione affettiva.

L’alessitimia, quindi, deve essere considerata un tratto stabile di personalità che interagisce con gli eventi stressanti predisponendo in modo aspecifico verso la somatizzazione e lo sviluppo di malattie.

Il costrutto di alessitimia viene inserito da Codispoti e Codispoti  in un continuum riferito alla difficoltà nel provare, comprendere, riconoscere e comunicare le esperienze emozionali.  Ad un estremo vengono collegate le situazioni più gravi e meno trattabili come l’anaffettività, l’incapacità di provare le emozioni riscontrata soprattutto nei pazienti psicotici, e l’anedonia, incapacità di provare piacere caratteristica delle persone depresse.
All’altro estremo le forme meno patologiche con l’alessitimia e l’inibizione. Quest’ultima rappresenta un controllo nell’espressione delle emozioni, collegabile ad una conflittualità spesso inconsapevole. La sequenza ipotizzata è: anaffettività, anedonia, alessitimia, inibizione. Mentre anaffettività e anedonia si associano a scarse o nulle capacità relazionali, alessitimia e inibizione si manifestano prevalentemente proprio nel contesto relazionale.

Bibliografia
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• Solano L., Tra mente e Corpo, 2001 Raffaelo Cortina Editore, Milano
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• Taylor G J, Bagby R M, Parker J D A, I disturbi della regolazione affettiva, 2000 Giovanni Fioriti Editore, Roma