La televisione è considerata un primario agente di socializzazione tra gli adolescenti. E’, infatti, un potentissimo mezzo di trasmissione della cultura, che insegna ai fruitori le norme comportamentali, i valori, le rappresentazioni della realtà, le credenze, necessari per una effettiva integrazione nella comunità sociale in cui si vive (Tan, Nelson, Dong & Tan,1997).
Gli adolescenti scelgono liberamente ed individualmente i contenuti proposti dal mezzo televisivo, nella costruzione della loro stessa socializzazione (Arnett,1995). Quindi, risulta essere di notevole importanza il suo legame con la rappresentazione del sesso, ed in particolare il rapporto tra televisione, contenuti di tipo sessuale e fruitori.
La ricerca curata da due associazioni, quali Children Now e Kaiser Family Foundation, ha comparato la quantità di interazioni a sfondo sessuale presenti nei programmi del prime-time, mettendone in luce le variazioni quantitative degli ultimi tempi. Nel 1976 il 43% dei programmi conteneva riferimenti di natura sessuale, percentuale salita al 65% nel 1986 e al 75% nel 1996. Globalmente, il contenuto sessuale dei programmi di prime-time, dove è più concentrata la presenza di bambini e ragazzi davanti al video, è aumentato del 270% rispetto al 1976 e del 118% al 1986 (dati del 1996).
Quasi tutte le ricerche condotte sugli adolescenti, finalizzate ad indagare da quali sorgenti essi traggano informazioni e conoscenze rispetto alla sessualità, hanno messo in luce che i mass-media rivestono spesso il ruolo di educatore sessuale, per eccellenza, dei loro giovani consumatori (Pellai,1999). E’ pure vero, però, che tale ruolo si risolve in alcune contraddizioni: da un lato, l’accessibilità e la franchezza con cui la Tv offre contenuti sessuali fa sì che i giovani fruitori imparino senza imbarazzo; attraverso dialoghi, personaggi, temi, e trame, il mezzo televisivo mostra agli adolescenti come viene gestita l’intimità e le relazioni interpersonali; dall’altro lato, è anche vero che i messaggi veicolati dalla televisione circa il sesso sono stereotipati e potenzialmente dannosi; spesso viene, infatti, fornita una visione dei rapporti sessuali di tipo unidimensionale, ovvero essi sono solo per i giovani single bellissimi e sempre spontanei e romantici.
Inoltre, da una ricerca di Ward (1995), il cui obiettivo era quello di eseguire un’analisi del contenuto su discussioni relative al sesso all’interno dei programmi di fiction più visti da bambini e adolescenti, è emerso un ritratto delle relazioni sessuali molto riduttivo: i maschi erano competitivi e consideravano le donne degli oggetti sessuali, valutandole solo per la loro apparenza fisica.
Tra l’altro quello che l’adolescente vede sullo schermo non è mai una sessualità normale, in cui è possibile essere anche imperfetti, un po’ imbranati, inesperti. Ne deriva una difficile costruzione della propria identità di genere ed, infatti, la perfezione auspicata dal mezzo televisivo sembra così irraggiungibile da poter scatenare frustrazione. In tal senso, può essere importante la figura di un adulto significativo, che sappia aiutare l’adolescente a valutare in modo critico ciò che viene proposto dallo schermo (Pellai,1999).
Comunque, numerose ricerche sono state svolte per valutare se una cospicua visione di queste immagini potesse essere relazionata a delle aspettative distorte, ad un irresponsabile stile decisionale in ambito sessuale, e ad atteggiamenti sessuali permissivi e stereotipati. I risultati rilevano, nei soggetti, relazioni significative fra la quantità di consumo televisivo e gli atteggiamenti, le aspettative, il comportamento sessuale.
Il modello teorico di riferimento rimanda alla Teoria della Coltivazione, secondo cui coloro che guardano frequentemente la televisione accettano e mantengono una prospettiva della realtà sociale in accordo con quella veicolata dal mezzo televisivo. E’ anche vero, però, che la quantità di esposizione alla televisione è solo una delle tante variabili che possono incidere sul fruitore. Sarebbe meglio considerare pure altri fattori, tra cui il coinvolgimento cognitivo ed emotivo degli utenti, dato che i più coinvolti saranno quelli maggiormente influenzabili dalla Tv (Ward et al.,1999).
Comunque, si deve aggiungere che i mass-media, in generale, e la televisione in particolare, risultano importanti anche per la costruzione dell’identità personale nel periodo adolescenziale. Nelle società, in cui i mezzi di comunicazione di massa sono molto diffusi, gli adolescenti recuperano, anche da essi, valori, concezioni, abilità che saranno utili, appunto, per la costruzione della loro stessa identità (Arnett,1995).
Tutto ciò rimanda al concetto di audience attiva, ovvero creatrice di significati, che non accetta, secondo modalità acritiche, tutto ciò che la televisione offre (Barker,1999). Il rimando più immediato è, ovviamente, all’approccio degli Usi e Gratificazioni (Katz, Blumler, Gurevitch,1974 cit. in Losito,1994), secondo cui i fruitori selezionano la propria dieta televisiva in vista della soddisfazione dei loro bisogni.
Inoltre, il consumo televisivo può dare agli adolescenti la sensazione di essere in relazione con una più vasta popolazione di coetanei, i cui valori ed interessi costituiscono il loro comune denominatore. Si può parlare, quindi di una identificazione con la cultura giovanile, anche se più spesso accade di identificarsi con una sottocultura specifica. Ad esempio, ricerche su giovani svedesi hanno attestato che un criterio per l’autoadesione ad una determinata sub-cultura si risolve nel successo o nel fallimento scolastico (Arnett,1995).
Infine, la globalizzazione della comunicazione, resa possibile dalla televisione e dai mass-media, ha favorito, da un lato, un’erosione delle identità nazionali grazie alle varie modalità di omogeneizzazione culturale, dall’altro, ha prodotto forme di resistenza che hanno rafforzato le identità locali e particolaristiche (Robins, Torchi,1993).
Come è stato precedentemente affermato, la televisione veicola anche i valori della comunità sociale in cui agisce. In tal senso, credo sia importante specificare la natura dei valori diffusi dal mezzo televisivo, e il ruolo assunto dalla televisione nel loro processo di costruzione.
Per quanto riguarda il primo punto, si riscontra un’eccessiva semplificazione dei sistemi valoriali, che, infatti, vengono stereotipizzati e banalizzati, ma anche un’assenza di problematicità, ovvero una netta rappresentazione di declinazioni positive, esprimenti adesione al valore. L’impressione complessiva si risolve, dunque, in una enunciazione delle costellazioni valoriali all’interno dei programmi televisivi, accompagnate da un consenso corale e collocata al di sopra delle discussioni e conflitti. Inoltre, per quanto riguarda il secondo punto, la televisione tende ad una de-responsabilizzazione, cioè a chiamarsi fuori dai processi di valorizzazione, facendo appello ad altri soggetti e ricorrendo ad altre fonti di autorità per dare loro fondamento.
Infine, si riscontra, che è proprio il valore-famiglia, inteso come senso dell’unità familiare, quello più diffuso nel contesto televisivo, sia perché ampiamente tematizzato sia perché trasversale rispetto ai generi.
Nell’ambito delle ricerche sul rapporto tra valori trasmessi dalla Tv e adolescenti, si è rilevato che l’influenza del mezzo televisivo sull’accettazione dei primi, da parte dei secondi, risulta mediata principalmente da due fattori: l’imparare, attraverso la televisione, i valori di una cultura e il ritenerli funzionali per una buona integrazione in essa. E’ da aggiungere che la televisione, come agente di socializzazione, non esaurisce la sua azione intorno ai sistemi valoriali veicolati, bensì trasmette informazioni relative sia al mondo del lavoro, sia all’immagine che la donna riveste in quell’ambito e nella realtà mediata in genere. Numerose ricerche hanno attestato che i programmi televisivi forniscono messaggi stereotipati del mondo lavorativo. Infatti, le professioni maggiormente riscontrate nelle fiction del prime-time sono quelle di avvocato, dottore, pubblico ufficiale, proprio perché caratterizzate da alti livelli di eccitazione, suspence, interesse (Signorielli,1993 cit. in Signorielli, Kahlenberg, 2001).
Inoltre, un’analisi delle componenti demografiche della popolazione, rappresentate nel mezzo televisivo, dagli anni sessanta agli anni novanta, in termini di differenze del genere sessuale, ha cercato di verificare se le donne, nel corso del trentennio, avessero raggiunto sullo schermo un maggiore riconoscimento e rispetto, quest’ultimo nel senso dell’assunzione di ruoli diversi sempre meno stereotipati. Come i ricercatori si aspettavano, i personaggi femminili, negli ultimi anni, ricevono ancora poco riconoscimento in confronto a quello caratterizzante la popolazione maschile; tuttavia è presente qualche cambiamento positivo circa il grado di rispetto ricevuto (Signorielli, Bacue, 1999).
Quindi, la televisione rappresenta se stessa come un mondo affollato da uomini, in cui le donne sono generalmente presentate come più giovani della controparte maschile, e quelle anziane sono praticamente inesistenti. I maschi di sessantacinque anni sono considerati di mezz’età e continuano ad essere impegnati nel lavoro, mentre la maggior parte delle femmine ultra-sessantenni sono, in realtà, raffigurate come anziane e non fanno più parte del mondo lavorativo, quasi a sottolineare la giovinezza come loro unico valore.
Nei trent’anni considerati dalla ricerca, però, è presente un crescente numero di donne in ruoli lavorativi sempre meno stereotipati (Signorielli et altri, 2001). Nello stesso studio sono state prese in considerazione le aspettative dei giovani sul mondo del lavoro. A conferma della Teoria della Coltivazione, si è rilevato che gli adolescenti, i quali si espongono per lungo tempo al mezzo televisivo, hanno concezioni molto irrealistiche della realtà lavorativa. Aspirano, infatti, ad un lavoro ben pagato e molto prestigioso che offre un considerevole tempo libero e poco impegno (Signorielli, 1993 cit. in Signorielli et al, 2001).
E’ ragionevole concludere con gli autori che la Tv e le sue rappresentazioni del genere sessuale potrebbero non favorire un processo di costruzione della realtà sociale orientata ad una effettiva uguaglianza dei generi stessi (Signorielli et altri, 2001).
ARNETT, J.J. (1995). Adolescents’ uses of media for self-socialization. Journal of Youth and Adolescence, 24, 519-530.
SIGNORIELLI, N., (1993). Television and adolescents’ perceptions about work. Youth & Society, 24, 314-341, cit. in Signorielli, N., Kahlenberg, S. (2001). Television’s world of work in the nineties. Journal of Broadcasting & Electronic Media, 45, 4-22.
SIGNORIELLI, N., BACUE, A. (1999). Recognition and respect: A content analysis of prime-time television characters across three decades. Sex Roles, 40, 527-544.
SIGNORIELLI, N., KAHLENBERG, S. (2001). Television’s world of work in the nineties. Journal of Broadcasting & Electronic Media, 45, 4-22.