Un articolo del New England Journal of Medicine denuncia, attraverso uno studio dell’Institute of Medicine sul marketing dei prodotti alimentari rivolto ai bambini e agli adolescenti, il significativo peso della pubblicità e delle promozioni sull’aumento esponenziale dei casi di obesità infantile degli ultimi anni.
Si sa che mangiare troppo e non fare movimento è uno dei fattori di rischio maggiori per diventare sovrappeso anche in tenera età: negli ultimi decenni questo è infatti raddoppiato nei bambini di 6-11 anni e triplicato nei ragazzi di 12-19 anni; e insieme al sovrappeso giovanile è aumentato anche il diabete mellito. A seguito di questi dati preoccupanti, i Centers for Disease Control and Prevention hanno commissionato all’Institute of Medicine uno studio che esaminasse le pratiche di marketing delle industrie alimentari nei confronti della popolazione giovanile e dei suoi genitori. L’analisi, compiuta su 123 studi pubblicati, ha identificato un legame fra la pubblicità e i comportamenti di preferenze e consumi alimentari di bambini e ragazzi, nonché con i tassi di obesità infantile.
Nonostante la reticenza delle industrie a rendere pubblici i risultati dei loro studi, la rassegna ha potuto evidenziare una pesante responsabilità del marketing nell’influenzare le scelte alimentari dei più giovani. Le aziende studiano minuziosamente i meccanismi psicologici che portano i bambini in età prescolare e le loro madri a scegliere un prodotto alimentare o un altro. Anche se ciò può essere eufemisticamente ridefinito come “educare a una cultura dei consumi”, non si tratta di altro che di marketing di prodotti non salutari, che i bambini farebbero molto meglio ad evitare. La pubblicità viaggia non più solo in TV ma anche attraverso la promozione di giocattoli, videogiochi, film e canzoni legate ai marchi. Tali pubblicità sono spesso direttamente rivolte ai bambini, investendoli di fatto del diritto di scegliere in prima persona cosa mangiare, e forse questo è il messaggio più pericoloso di tutti.
Lo studio mostra che almeno il 30 per cento delle calorie nella dieta media infantile è costituito negli Stati Uniti da dolciumi, bibite gasate, spuntini salati e cibo da fast food. Dal 1994 le aziende alimentari hanno introdotto sul mercato 600 nuovi prodotti, dei quali solo uno su quattro era relativamente “salutare” (prodotti da forno, cibo per l’infanzia o acque minerali), mentre la metà era costituita da caramelle e gomme da masticare e un altro quarto da dolciumi e merendine salate. L’autoregolamentazione delle industrie è di facciata: si propongono caramelle alle vitamine, cereali “integrali”, merendine senza grassi saturi… ma pur sempre di dolciumi si tratta. E la promozione dello sport e di altre iniziative salutistiche, che parallelamente viene fatta dalle aziende alimentari, da sola non è sufficiente. “Senza ulteriori cambiamenti nella società”, conclude l’autrice dello studio, “queste azioni possono non essere sufficienti per prevenire l’obesità, anche se possono rendere più facile ai genitori – e agli operatori sanitari – incoraggiare i bambini a mangiare in modo più sano”.
Nestle M. Food Marketing and Childhood Obesity — A Matter of Policy. N Engl J Med 2006;354:2527-29.
No comments